Coderdojo, il papà

Coderdojo a Torino, seconda data sabato 13 luglio 2013

Coderdojo è un modo per avvicinare i bambini – e le bambine, a scanso di equivoci – dai 7 ai 14 anni al mondo della programmazione. Difficile, impossibile? Proprio per niente, se si hanno gli strumenti giusti e tanti bravi mentor che hanno voglia di passare qualche ora insieme ai bambini per facilitare l’approccio alla programmazione.

Dopo aver letto di Coderdojo sul sito di Francesca Sanzo che ha contribuito a portarlo a Bologna e aver ascoltato Barbara Alaimo parlare con entusiasmo dell’esperienza milanese mi frullava in mente l’idea di farlo partire anche a Torino, ma qualcuno era già in pista per far partire la prima data. Così io e David, molto curiosi, abbiamo chiesto ai Coderdojo di Torino se potevamo fare qualcosa e la seconda data ci vedrà impegnati nel progetto, cosa che ci rende molto contenti.

Dunque, se passi di qui entro sabato 13 luglio e sei interessato c’è ancora qualche posto libero e puoi iscrivere tuo figlio/nipote ecc. registrandoti sulla pagina dell’evento su cui trovi tutti i dettagli – e sì, è gratis – tenendo a mente queste poche cose:

– è solo per chi ha dai 7 ai 14 anni
– ci vuole un portatile, ma basta dirlo prima se non ce l’avete e vi verrà dato
– ci vuole un genitore/adulto responsabile che stia lì per tutta la mattinata (dalle 9 alle 12)
– ci vuole una merenda (la fame prima o poi fa capolino)

Ci vediamo sabato?

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La Bruna, Vita quotidiana

Leggile Shakespeare

La Bruna nella fontana di Piazza Castello

Aspettando che io tornassi da quel posto dove la gente applaude

“Succede così con i bambini come lei: lavori per mesi, due, tre, sei, ti dici che non sta succedendo niente e poi, all’improvviso, viene fuori tutto. Non sottovalutarla mai, piuttosto leggile Shakespeare tutti i giorni”.

Così mia cugina, ai miei occhi la maestra elementare più brava del mondo, mi ha raccontato la sua esperienza con i bambini meno dotati, avendo intuito che per proteggere la Bruna o forse me stessa – diciamo tutte e due – ho il vizio di sottovalutare tutto quello che fa ancora prima che lo faccia.

Non so se è una cosa comune ai genitori di bambini autistici come lo è la Bruna, so che succede a me: metto le mani avanti, dico ma no, quella cosa lì non è in grado, non capirà, non reggerà, si spaventerà e manderà tutto in vacca. Per fortuna spesso ha ragione lei. Così, ad esempio, ieri ha insistito per entrare allo Smaland, l’area giochi dell’Ikea, e ci è rimasta un’ora facendo tutto quello che facevano gli altri bambini: ha nuotato nelle palline, disegnato, giocato con le costruzioni (con le bambole da vestire no, sui giochi simbolici e affini c’è ancora tanta strada da fare). Tutto bene, e io non ci avrei mai scommesso.

Poi ieri sera siamo andati a sentire Gianluca Nicoletti che presentava il suo “Una notte ho sognato che parlavi” e lì invece tutto come da copione, al primo applauso non ha retto ed è andata a mangiarsi un ghiacciolo con suo padre e a bagnarsi piedi, gambe e scarpe con le fontane di Piazza Castello.

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lavori da mamma, Vita quotidiana

Allattare in pubblico: ve lo giuro, non siamo esibizioniste

Allattare al seno un neonato non è niente di scandaloso, oppure sì? A giudicare da questo pezzo pubblicato sull’HuffPost Parents lo è ancora per tanti americani, e penso dia fastidio a molte persone anche qui da noi. Tempo fa frequentavo FriendFeed, un social network un po’ defilato in cui era facile trovare molte persone davvero interessanti e casualmente anche tante persone che non tolleravano bambini, discorsi sui bambini, visione di bambini – in aereo e al ristorante erano i luoghi top dell’antibambinità – soprattutto se neonati e bisognosi di tetta. Almeno una volta ogni settimana o due Friendfeed si animava di flame – litigate più o meno intense e prolungate – tra i difensori dei bimbi e gli strenui oppositori.

In genere io non ho molto da dire al riguardo: prima di diventare mamma i bambini mi erano quasi del tutto indifferenti e  non ricordo di aver mai notato una donna che allattava prima di sapere cosa volesse dire farlo. È ovvio quindi che quando mi imbatto in un essere umano antitetta mi stupisco e, da mamma, mi inalbero anche un po’. Per questo voglio mettere giù due cosette per chi trova inopportuno che una donna si metta ad allattare lì dove sta (parlo di poppanti piccoli, il discorso sull’allattamento prolungato magari un’altra volta):

– mediamente, una donna che allatta continua a vivere: rimanendo donna oltre che mamma, ama ancora aggirarsi per strade, centri commerciali, pizzerie e quanto altro e ama farlo insieme al frutto dei suoi lombi il quale però, ahinoi, ogni tanto si affama;

– quando il bambino ha fame (e piange, piange molto), la mamma – specie se mamma per la prima volta – non ha voglia di farlo aspettare e spesso un pertugio nascosto in cui allattare non si trova nel giro di due minuti. Ci si siede un po’ dove capita e via, si allatta;

nessuna mamma ha voglia di esibire il seno. Lo giuro, non lo vogliamo fare vedere a nessuno, solo al bambino. Ma da come a volte sento parlare di allattamento in pubblico pare che ci siano numerose donne che prima di attaccare il bimbo al seno compiono misteriose operazioni di preparazione durante le quali ogni passante può ammirare la tetta scoperta. Vi tiro in ballo, mamme che allattate: voi fate così? Perché io facevo un’estrazione piuttosto rapida e discreta, e spesso capitava pure che coprissi Bruna o Bionda e la tetta con un lenzuolino o una copertina;

– «Perché quando sei fuori non gli dai il biberon?». Perché no e basta. Ho scelto il seno, allatto al seno. Forse c’è qualche situazione particolare in cui il biberon effettivamente potrebbe essere indicato, ma sono poche e qua si parla di vita di tutti i giorni. Difficoltà massima: far capire a una non mamma che esistono bambini che di biberon non ne vogliono sapere e a nulla vale provare ad abituarli: io ne ho un esempio in casa e, lo giuro, ho un atteggiamento laico nei confronti del biberon, tanto è vero che la Bionda lo ha preso e lo prende con serenità ma con la Bruna non c’è mai stato verso. E poi andare in giro così vuol dire tirarsi via il latte, metterlo nel biberon, conservarlo in qualche modo e trovare qualcuno che te lo scaldi quando ce n’è bisogno: e perché mai dovrei fare una roba del genere quando ho tutto a posto e a temperatura dentro di me?

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