La Bruna

C come Tasa

La Bruna sta dicendo addio al linguaggio da pupetta e migrando verso un nuovo modo di esprimersi adatto ai suoi tre anni e qualcosa. Il vocabolario si gonfia a dismisura, in due mesi è probabilmente decuplicato e non c’è giorno in cui io e suo padre non ci si guardi stupiti pensando “e questa parola da dove salta fuori?”.
La pronuncia, invece, è ancora un po’ incerta, tipica espressione delle cose che la Bruna non cura e non curerà fino a quando dovrà per forza farsi capire da tutti quelli che la circondano (vedi alla voce maestre dell’asilo, che sono ben lungi dall’essere cuci-cuci con i bambini che devono far crescere). In ogni caso i miglioramenti sono stati molti: finalmente ocinene è diventato voglio scendere, il gatto Pupo si è riappropriato del suo vero nome (Lupo), e atatamio sta diventando un sempre più chiaro un altro camion (viaggiando spesso in autostrada, il gioco più appassionante del momento è individuare quanti più camion possibili).
Solo una cosa rimane lì, inscalfibile tra le parole pupesche ormai abbandonate: il pollo al posto della cacca. Battezzata così la prima volta che la Bruna ha depositato nel water anziché nel pannolino – ci credo, la vista di quella novità deve scatenare le fantasie più sfrenate – la cacca ci insegue ancora oggi sotto forma di gallinaceo. Il che mi ricorda che devo avvertire all’asilo che l’improvvisa esclamazione “Pollo!” non è un nonsense brunesco ma una precisa richiesta di andare in bagno.
E poi la C. Non c’è verso di sentirla nella sua forma dura se non come T: e quindi, C come Tasa, BianTa, Tamion. Alcuni suggeriscono un controllo del linguaggio, avendo la Bruna superato da un po’ i tre anni, ma io sono convinta che sia solo noncuranza e che tempo un paio di mesi assisteremo a un nuovo balzo in avanti dell’iperspazio linguistico. In fondo la Bruna è Bruna anche perché di certe cose proprio se ne sbatte.

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All’asilo si sta bene e si imparan cose nuove

La scuola materna dell’infanzia è arrivata, e con lei un carico di sorprese e – non si finisce mai di imparare – anche parole nuove. Con la Bruna ci siamo addentrate in un mondo a noi del tutto sconosciuto, parecchio diverso dalla realtà ovattata dell’asilo nido, e abbiamo imparato che tutto va imparato più in fretta, che i ritmi sono più frenetici e le maestre più sbrigative (e ai miei occhi delle eroine per sapere badare da sole a 26 mini-energumeni di 3-4-5 anni).
Mentre la Bruna digerisce ogni giorno di più la sua nuova casa, io digerisco la realtà della scuola materna, una di quelle cose che finché non le vivi quasi non ci credi, e cioè la fatica di mandare avanti una scuola statale dovendosi appoggiare alle famiglie, alle quali si chiede di tutto di più, dai fazzoletti per il naso alla colla stick fino al portalistini. Porta che? Ecco la parola nuova, ancora semisconosciuta perché non ho ancora visto di che diamine si tratti. Per fortuna, almeno, non portano il grembiule. E i buoni pasto? Quattroeuroesettanta al giorno, grazie (ma è una benedizione pagare solo questo dopo essere passati dalla gogna della retta del nido).
E siccome scendo un po’ dalla montagna del sapone, apprendo così a caso che all’asilo si fa pure religione. In attesa di capire se tocca pure ai treenni o solo ai più grandi, mi domando che fare: la escludiamo o le diamo l’opportunità di sentire un po’ che cosa avrà da raccontare la maestra? Vorrei riporre una piccola speranza in un modo di fare religione che sia un insegnamento di comprensione e accettazione delle differenze, di educazione alla gentilezza e alla generosità, di valorizzazione di diversi punti di vista – credo si possa fare anche con i più piccoli, proponendo un percorso adeguato – ma ho paura che si cada invece nell’indottrinamento duro e puro, senza via di mezzo. Sfruttare le conversazioni mammesche agli orari di entrata e di uscita mi sembra l’unico modo valido di capire e decidere che fare.

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La Bruna

I matrimoni con la Bruna non s’han da fare

E così feste varie, cerimonie di ogni tipo e qualsiasi cosa comprenda la compresenza di più di venti adulti pronti a festeggiare cantando, brindando e facendo qualsiasi altra cosa, possibilmente a squarciagola.
Perché la Bruna s’impanica. Il che non rende l’idea. La Bruna diventa matta, le viene la faccia di chi ha visto Alien da molto vicino e le lacrime di chi ha intravisto la fine del mondo. E urla, piange, si dibatte, non ne vuole sapere di ragionare. Insomma, è fobia. Non sempre, non in tutte le situazioni sociali, il che rende più complicato capire cosa cacchio le prenda.
Venerdì scorso ci aspettava il matrimonio della zia, e tutto è stato molto bello e divertente fino a quando – giustamente – gli amici degli sposi hanno voluto festeggiarli come si fa a ogni matrimonio. Risultato: dopo un’ora e mezzo ho preso armi e bagagli, ovvero la Bruna e la Bionda, la quale poverina invece in mezzo al casino si stava divertendo un mondo, e le ho portate a casa. Fine del divertimento, e nemmeno una fettina della goduriosa torta nuziale per me. La mattina dopo, per aggiungere un bel carico da 90, la Bruna aveva la febbre e il vomito in puro stile Linda Blair: e no, non ha sclerato perché stava male, è stata male a forza di sclerare.
Insomma, se passa di qua qualcuna che condivide la vita con un soggetto come la Bruna saranno graditi suggerimenti, pacche sulle spalle e indicazioni di quando accidenti queste fobie smettono di manifestarsi.
E no, non sono incazzata perché non ho festeggiato a dovere, ma perché non so come aiutare una bambina che sta così male. Ergo, il prossimo passo sarà probabilmente il ricorso all’opinione di un professionista dell’età infantile.

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