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Non gioco più

Cosa vi manca di più di quando non avevate figli? Lo chiedono su Donna Moderna e il post che accompagna la domanda per tanti versi rispecchia quello che avrei detto io. Che mi sta bene essere diventata mamma a 36 anni, che quel che c’è stato prima è stato così divertente, bello e soddisfacente da consegnarmi quasi del tutto pronta e soddisfatta al nuovo ruolo di genitore. Quindi in sostanza, ho pensato, a me non manca niente della mia vita precedente, e però poi la mia mente ha tirato fuori un particolare inaspettato: i videogiochi.
C’era un tempo in cui ero admin di un forum di videogiochi e mi divertivo un sacco a leggere, informarmi, partecipare alle discussioni, e a giocare. Di giorno in pausa pranzo, appena arrivata dal lavoro, la sera invece di stravaccarmi di fronte alla tv, a letto con il mio piccolo Nintendo e quel Mario che tante volte non mi ha fatto chiudere occhio fino quasi al mattino.
Impossibile rifarlo ora, per mancanza di tempo, di capacità di attenzione, e poi perché le Pupe, ancora piccole, vorrebbero mettere le mani sulle console impendendomi di giocare (intollerabile). Così quel che mi rimane è la segreta speranza di riuscire ad accompagnare le due piccolette al piacere di videogiocare, che il gioco sia pensiero e strategia o al 100% azione ed emozione, prospettiva che mi sorride molto di più di saperle fuse con il divano a guardare la tv. In teoria vorrei partecipare anche io, ma temo che sarò troppo anziana e incapace di stare dietro alle evoluzioni delle console: piuttosto seccante.
Temo quindi che la nostalgia del tempo in cui io e marito passavamo ore e ore a giocare sia destinata a rimanere tale, ed ecco perché a volte vorrei tornare lì, un pad in mano e la testa vuota di pensieri e piena solo di colori, suoni, emozioni e divertimento, e niente altro attorno a me.

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Quanto mi costi, figlio mio

I’m on a mission to civilize, diceva Will McAvoy in The Newsroom: vorrei adottare questa frase non perché voglia  educare qualcuno ma perché sempre più spesso mi capita di leggere cose sulla maternità sulle quali non posso non dire la mia. L’ultima è stata la questione spannolinamento e oggi invece l’annosa questione “quanto mi costerà caro il pupo” derivata dalla lettura di questa lista sul sito mammaoggi.it
Pur non essendo una fan dell’approccio secondo il quale quasi nulla sarebbe necessario al bambino se non l’amore di mammà ed essendo, quando possibile, una spendacciona, rimane vero che alcune voci elencate non vengono mai asteriscate con una dicitura “non è detto che vi servirà”, mentre invece tutto sembra finire nel calderone dello stretto necessario a cui una quasi mamma crederà ciecamente, così come avrei fatto io quando ero incinta della mia prima figlia se non avessi avuto amiche già mamme a consigliarmi dove spendere e dove no.
Ok passegggino, lettino, vestiti e calzature, il seggiolino per l’auto e i pannolini e qualche altra cosa, ma invece:
– il biberon: perché elencarlo senza una postilla che dica che se allatti al seno probabilmente non ti servirà? Perché è ovvio, mi si dirà: solo che io, quando ero incinta, di bambini sapevo meno di zero e per qualche strano motivo davo per scontato che prima o poi mia figlia avrebbe avuto necessità di un biberon. Invece poi la Bruna non l’ha mai provato né ne ha mai avuto bisogno, e il biberon l’abbiamo scoperto solo con la Bionda.
– il ciuccio: idem come sopra. Aiuta, ma non è indispensabile.
– il seggiolone: da 132 euro a 250? Bruna e Bionda hanno iniziato a mangiare su un comodo e lavabilissimo alzasedia della Cam – utile anche da portare in giro – dal costo di circa 40 euro.
– il girello: ma non era non raccomandato?

La Bionda sul fasciatoio-canotto

– fasciatoio, da 75 euro a 349: ok, però io me la sono cavata per tre anni e passa con una specie di canotto della Chicco da venti euro posato sopra un mobile basso.
– lo sterilizzatore: comodo, ma la roba si sterilizza anche in altri modi più economici.
Poi c’è la voce che non riesco a decifrare, ovvero le visite mediche, per un totale, nei circa tre anni da nascita ad asilo, di 740 euro espandibili a 1750. Adesso chiedo io aiuto e mi chiedo quale sia la percentuale delle mamme italiane che non hanno accesso al pediatra di famiglia e siano costrette a rivolgersi a un pediatra privato: qualcuno può dimostrare che sia così alta dal dover rientrare nella lista delle spese che molto probabilmente si dovranno sostenere?
Ah, una voce tremenda davvero – che la lista non riporta – però c’è: se come me lavorate e non avete nonni di appoggio, vi toccherà la tata/baby sitter o il nido, fonti certe di calde lacrime di sangue.

P.S.: per fortuna poi mammaoggi.it un post su come risparmiare l’ha pubblicato. Speriamo che anche quello venga letto quanto l’altro.

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Grandi tappe, La Bruna, Vita quotidiana

Lo spannolinamento difficile esiste

All’ennesima comparsa, su una delle tante pagine Facebook dedicata alle mamme, del post in stile “togligli il pannolino in un amen” – con tanto di commenti di madri disperate che non ci riescono e si sentono ingiustamente madri di merda – mi sento in dovere di condividere qui la mia esperienza di spannolinamento, a uso consolatorio delle mamme il cui pupo o pupa non ne vuole sapere di liberarsi del pannolino in circa 48 ore come sembra che tutti gli altri bambini del mondo riescano a fare.
Gli spannolinamenti difficili e lunghi esistono, è successo a noi con la Bruna. La Bruna è stata ufficialmente spannolinata qualche giorno prima di compiere tre anni, lo scorso giugno – a due anni le è nata una sorella, la Bionda, e quello non ci è sembrato il momento migliore per toglierle il pannolino, quindi abbiamo passato – in corrispondenza di due settimane di vacanza al mare. Dopo aver letto e riletto questo e quello e sentito mamme che nel giro di pochi giorni avevano detto addio al pannolino mi ero preparata a combattere un po’ – la Bruna non è mai stata una sprinter in nessun campo, ha gattonato a un anno e camminato a 18 mesi, tanto per capirci – ma a risolvere la questione più o meno al momento di tornare dalle vacanze. La sentite questa risata? È l’universo che ancora mi percula.

La Bruna in vacanza, durante i primi giorni di spannolinamento

Appena arrivati al mare, dunque, via il pannolino. È iniziata così una serie di appuntamenti frequentissimi con il vasino per cercare di intercettare la pipì, con la ricerca della giusta gratificazione – né troppo, né poco – e con il sempre presente rituale del saluto alla pipì, e i tentativi di celare il disappunto ogni volta che la Bruna se la faceva addosso guardandomi sbigottita come a dire “ma che succede, mi sto bagnando, perché?”. Con la cacca, peggio: nelle mutande ogni santa volta. L’unica cosa degna di nota dei primi 20-30 giorni è stata la capacità della Bruna di tenerla nei momenti giusti, ovvero quando ci muovevamo in macchina, sempre però con una traversa sotto il suo culetto e il vasino in borsa: abbiamo estratto il vasino un po’ ovunque, in visita dai parenti come nella lavanderia a gettoni, senza alcuna esitazione, e spesso lo abbiamo riposto intonso per poi dover cambiare la Bruna tutta pisciata dopo appena un minuto.
Così siamo tornati a casa a metà giugno con pochi progressi e l’idea che il momento magico per noi non sarebbe mai arrivato. È andata avanti così fino a fine luglio, alla fine dell’asilo nido, con le povere educatrici che hanno sopportato senza fiatare le cacche nelle mutande della Bruna, che nel frattempo migliorava leggermente nella gestione della pipì: non chiamava ma la teneva e la faceva solo quando veniva accompagnata in bagno, almeno quello.
Non ricordo esattamente quando sia arrivato il primo “la pipì!”, ma credo non prima di ferragosto: da quel giorno in poi c’è stato ancora qualche incidente dovuto a troppa concentrazione sul gioco o sul cibo, in stile “so che dovrei chiamare ma non ne ho voglia quindi fa niente, mi piscio”, e poi basta. In sostanza la questione si è risolta più o meno a metà settembre, in concomitanza con l’inizio della scuola materna. Due mesi e mezzo dopo l’inizio, altro che 48 ore.
Ah, e ancora non ci siamo del tutto: la Bruna ora chiama sempre per andare a farla, ma la chiama sempre pipì anche se quello che deve fare è “pollo” (che oh, lentamente sta diventando popò).
Insomma, mamme di piccoli campioni di lentezza, forza e coraggio, va bene anche avere un bambino che non brucia tutte le tappe: prima o poi anche lui/lei arriverà al suo traguardo.
Sullo spannolinamento notturno invece non mi esprimo, che lì ci è andata ultrabene: tolto subito e mai più rimesso e solo un paio di incidenti, a riprova che anche i pigri, a volte, sanno fare le lepri.

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