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Speriamo solo che non voglia un pony

Mi chiamo Daniela e da sempre tutti mi chiamano Dani. Che va benissimo, al mio nome zippato gli voglio anche bene oramai, però ho sempre pensato che ai miei figli avrei dato un nome corto, difficile da accorciare.

Dunque la lunghezza del nome fu il primo dei criteri per scegliere come avremmo chiamato la nostra prima figlia. Il secondo fu darle un nome familiare anche agli anglofoni: parte della nostra famiglia è nata e vive in Canada, parla solo inglese e non ha ancora capito che non mi chiamo Daniella con due elle, dunque almeno con la pupa volevamo fare le cose facili.

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Il libro di Lisa, che un giorno tirerò giù dallo scaffale della libreria e le regalerò

Il terzo motivo, non in ordine di importanza, per fortuna soddisfa anche gli altri due ed è  Lisa Simpson, uno dei personaggi più belli  – anche antipatici eh, ma ci sta –  creati dalla fantasia di un cartoonist.
E che voglio, allora? Una figlia che cresca saccente, secchiona, vegetariana e buddista e ci guardi un po’ dall’alto in basso chiedendosi se davvero condivide i suoi geni con i nostri? Non proprio tutto questo, ma mi piacerebbe che questa Lisa si portasse dentro una scintilla simpsoniana in grado di farla crescere curiosa, bambina finché sarà bambina e non piccola adulta, amante della musica, moderatamente femminista e intelligente abbastanza da guardare al di là del suo piccolo orticello quando sarà necessario.

P.S.: e poi ogni anno posso farle sentire Michael Jackson – che poi non è proprio lui ma va bene lo stesso – che le canta buon compleanno.

Happy birthday Lisa
I wish you love and goodwill
I wish you praise and joy
I wish you better than your heart desires
And your first kiss from a boy

 

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Sono un pirata, o forse un torero

Il mio odio per il Carnevale – brutti ricordi sepolti dall’inconscio, evidentemente – più una mancanza cronica di denaro mi avevano tenuta tranquilla nelle scorse settimane: niente costumi per la Bruna e per la Bionda, avrei convinto le maestre dei rispettivi asili che anche le pupe, in fondo in fondo, del Carnevale non sapevano che farsene. Il che è in parte vero, essendo così piccole che non ho proprio idea di cosa possano pensare di un giorno in cui tutti all’asilo hanno strani vestiti, antenne e parrucche.

Ma poi ho ceduto: di fronte agli avvisi piazzati nelle bacheche e ai sorrisi gentili delle maestre ho pensato che omologare è meglio che evitare, almeno in questi teneri anni, e che un travestimento si poteva pure fare. Il secondo step è stato come arrivarci, al travestimento, dato che soldi zero e abilità manuali di mamma meno di zero. Com’è ovvio, Internet anche questa volta mi ha salvata (grazie, MammaFelice).

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La Bruna col suo cappello da orso pirata

Insomma, alla fine abbiamo partorito un costume che vorrebbe essere da pirata ma senza cappello non si capisce e potrebbe benissimo essere da torero, ma chi se ne frega. Speriamo che il cappello non ceda e che oggi la Bruna si diverta, e soprattutto che all’asilo non ci siano lingue di Menelik a terrorizzarla. Per la Bionda il turno di fare “ahrrr”, tipico verso dei pirati (se non lo conoscete non guardate abbastanza Bubble Guppies), verrà domani.

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La Bruna, lavori da mamma

Favole per una Bruna (e una favola in un Tweet)

Sono una mamma tentennante quando è ora di sfoggiare le Vere Doti della Brava Mamma quali cucire, rammendare, disegnare, costruire, inventare, manipolare. Non fa per me, non ci ho il talento. Ma le favole, quella è un’altra storia: quando si tratta di leggere, rielaborare, recitare allora mi diverto, e a quanto pare si diverte pure la Bruna, in questo periodo affamata della storia della lepre e della tartaruga e di Cappuccetto Rosso.

La Bruna in lettura (asilo nido, l'anno scorso)

La Bruna in lettura (asilo nido, l’anno scorso)

Mi piacciono molto le favole, quelle degli altri perché io la fantasia di inventarne non ce l’ho. E però ieri ho visto questa cosa del Tweet da favola e ho pensato che una cosina in 140 caratteri la potevo riuscire a scrivere pure io.

La cosa in questione è il premio Andersen per fiabe inedite che quest’anno ha dato spazio anche a Twitter: la sfida è scrivere una favola in 140 caratteri e twittarla ricordando di aggiungere l’hashtag #hca13. Io l’ho già fatto:

La bambina cadde nel buco, scoprì strani mondi, lottò con i draghi, parlò con le fate, pianse, rise, gridò “aiuto!”. Poi si svegliò.

Non è escluso che in un impeto di creatività ne scriva anche altre, ma saranno sempre robe di bambine, draghi e fate, cioè quello che da piccola popolava il mio mondo fantastico. Comunque: c’è tempo fino al 2 aprile, fatevi sotto anche se come me credete di non esservi messi in fila quel giorno che distribuivano la fantasia.

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