All’ennesima comparsa, su una delle tante pagine Facebook dedicata alle mamme, del post in stile “togligli il pannolino in un amen” – con tanto di commenti di madri disperate che non ci riescono e si sentono ingiustamente madri di merda – mi sento in dovere di condividere qui la mia esperienza di spannolinamento, a uso consolatorio delle mamme il cui pupo o pupa non ne vuole sapere di liberarsi del pannolino in circa 48 ore come sembra che tutti gli altri bambini del mondo riescano a fare.
Gli spannolinamenti difficili e lunghi esistono, è successo a noi con la Bruna. La Bruna è stata ufficialmente spannolinata qualche giorno prima di compiere tre anni, lo scorso giugno – a due anni le è nata una sorella, la Bionda, e quello non ci è sembrato il momento migliore per toglierle il pannolino, quindi abbiamo passato – in corrispondenza di due settimane di vacanza al mare. Dopo aver letto e riletto questo e quello e sentito mamme che nel giro di pochi giorni avevano detto addio al pannolino mi ero preparata a combattere un po’ – la Bruna non è mai stata una sprinter in nessun campo, ha gattonato a un anno e camminato a 18 mesi, tanto per capirci – ma a risolvere la questione più o meno al momento di tornare dalle vacanze. La sentite questa risata? È l’universo che ancora mi percula.
Appena arrivati al mare, dunque, via il pannolino. È iniziata così una serie di appuntamenti frequentissimi con il vasino per cercare di intercettare la pipì, con la ricerca della giusta gratificazione – né troppo, né poco – e con il sempre presente rituale del saluto alla pipì, e i tentativi di celare il disappunto ogni volta che la Bruna se la faceva addosso guardandomi sbigottita come a dire “ma che succede, mi sto bagnando, perché?”. Con la cacca, peggio: nelle mutande ogni santa volta. L’unica cosa degna di nota dei primi 20-30 giorni è stata la capacità della Bruna di tenerla nei momenti giusti, ovvero quando ci muovevamo in macchina, sempre però con una traversa sotto il suo culetto e il vasino in borsa: abbiamo estratto il vasino un po’ ovunque, in visita dai parenti come nella lavanderia a gettoni, senza alcuna esitazione, e spesso lo abbiamo riposto intonso per poi dover cambiare la Bruna tutta pisciata dopo appena un minuto.
Così siamo tornati a casa a metà giugno con pochi progressi e l’idea che il momento magico per noi non sarebbe mai arrivato. È andata avanti così fino a fine luglio, alla fine dell’asilo nido, con le povere educatrici che hanno sopportato senza fiatare le cacche nelle mutande della Bruna, che nel frattempo migliorava leggermente nella gestione della pipì: non chiamava ma la teneva e la faceva solo quando veniva accompagnata in bagno, almeno quello.
Non ricordo esattamente quando sia arrivato il primo “la pipì!”, ma credo non prima di ferragosto: da quel giorno in poi c’è stato ancora qualche incidente dovuto a troppa concentrazione sul gioco o sul cibo, in stile “so che dovrei chiamare ma non ne ho voglia quindi fa niente, mi piscio”, e poi basta. In sostanza la questione si è risolta più o meno a metà settembre, in concomitanza con l’inizio della scuola materna. Due mesi e mezzo dopo l’inizio, altro che 48 ore.
Ah, e ancora non ci siamo del tutto: la Bruna ora chiama sempre per andare a farla, ma la chiama sempre pipì anche se quello che deve fare è “pollo” (che oh, lentamente sta diventando popò).
Insomma, mamme di piccoli campioni di lentezza, forza e coraggio, va bene anche avere un bambino che non brucia tutte le tappe: prima o poi anche lui/lei arriverà al suo traguardo.
Sullo spannolinamento notturno invece non mi esprimo, che lì ci è andata ultrabene: tolto subito e mai più rimesso e solo un paio di incidenti, a riprova che anche i pigri, a volte, sanno fare le lepri.
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