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Una Rete in dono: cose che leggo e posti che frequento che parlano di autismo

una rete in dono, le informazioni sull'autismo accessibili in rete

Non so pensare cosa sarebbe la mia vita di mamma di una bambina autistica senza l’aiuto che trovo ogni giorno in rete, in particolare via Facebook e attraverso le cose che leggo nei blog.

Ci sono un sacco di ragioni buone per affacciarsi online e immagino che una delle prima sia trovare un po’ di comprensione e conforto, di parlare con qualcuno che ne capisce dell’unico argomento che ti interessa – perché specie all’inizio non c’è proprio altro di cui si possa parlare e a cui si possa pensare – ma la cosa migliore sono le risorse che aiutano a trovare la propria strada.

La nostra esperienza di genitori di persona autistica è breve, anche se ormai la Bruna sta per compiere sei anni e ne sono già passati due e mezzo da quel giorno, ma è densa e da un po’ contiene anche la persona che nel giro di pochi mesi ha dato a nostra figlia una marcia in più. E dove l’abbiamo trovata? In mezzo a un po’ di discussioni su Facebook fino ad arrivare a una prima telefonata e alla decisione di tentare, insoddisfatti come eravamo del poco lavoro che riuscivamo a far fare alla Bruna.

Questo post non è un’apologia dell’ABA e dell’approccio cognitivo-comportamentale a tutti i costi ma certo, senza l’aiuto trovato in rete, ci saremmo fermati a quel poco che ci era stato detto al di fuori di essa: che trasforma i bambini in robot, che costa tantissimo e che i genitori non devono fare i terapisti dei figli. Oggi sappiamo, grazie a persone preparate, che non è così, che almeno per noi questa scelta era la scelta giusta.

Tornando allo scopo di questo post, dedicato al genitore che ero io quando mi sentivo confusa e sopraffatta da una cosa troppo grande per essere affrontata con lucidità, ecco un po’ di cose che secondo me vale la pena tenere d’occhio e frequentare online:

Paperinik, idee per lavorare con i bambini autistici

Un gruppo chiuso che ha più di novemila iscritti, il posto dove all’inizio le informazioni ti travolgeranno al punto da pensare “non ce la farò mai” ma è solo la grande voglia di aiutare di chi lo vive già da un po’. La migliore definizione è proprio quella data dal suo fondatore:

«Il gruppo nasce per essere operativo. Per condividere strategie e idee. Per condividere materiale. Per dare una mano a insegnanti, genitori e terapisti, qualsiasi percorso seguano.
Non è un gruppo dove si parla di terapie mediche. Non è un gruppo da usare come diario dei progressi dei figli.
Ben vengano le condivisioni di successi, ma come incoraggiamento o per condividere una strategia.»

Ricerca e terapia nello Spettro Autistico (e delle sue politiche)

Un altro gruppo (questo è pubblico), da frequentare per raccogliere informazioni e punti di vista sull’autismo, amministrato molto bene.

Diritto e Autismo

Altro che cahiers de doléances, qui si combatte e ci si informa. Un gruppo chiuso per chi – tutti, a occhio – prima o poi si imbatte nella burocrazia e rimane intrappolato nelle maglie di leggi e leggine che ci riguardano.

Il sito Spazio Asperger

Anche se mia figlia è proprio da un’altra parte dello spettro, Spazio Asperger lo leggo spesso, è un punto di riferimento importante e lo raccomando senza esitazioni. In particolare il libro gratuito “Lo Spettro Autistico, Risposte Semplici -Per una bonifica semantica dagli stereotipi dell’Autismo”, un pdf da far leggere a parenti, insegnanti, a chiunque voglia capirne di più partendo da una delle cose più importanti: la singolarità di ogni autismo al punto che “le differenze tra due persone autistiche possono essere maggiori che tra un autistico ed una persona tipica”.

Autismo, mica noccioline

Un blog densissimo di un uomo e padre che ha uno sguardo lucido e una posizione netta su autismo, consapevolezza, diversità, autonomia, autostima, self-advocacy. È un confronto sempre utile anche quando non si va d’accordo con lui, che poi è anche il fondatore di Paperinik.

A diary of a mom

Questo è uno dei blog più belli che mi sia capitato di leggere in vita mia e per me è esempio e ispirazione. Lo stile con cui Jess racconta la vita della sua famiglia è un mix di leggerezza e profondità insuperabile.

Il viaggio di Kreed

Il mondo di Kreed e il suo viaggio difficilissimo nel mondo dell’autismo. Una mamma, Erin, di quelle con le palle fumanti che ha scelto di raccontare una sfida enorme e che lo fa sempre tenendo in pugno le sue emozioni. La ammiro oltre ogni confine.
Kreed non c’è più, ma il racconto rimane e ha un valore inestimabile.

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Parole sbagliate, parole pesanti

Scrivo per lavoro e forse per questo faccio più attenzione alle parole che incontro e a quelle che riguardano la mia famiglia, a quelle che danno vita a complicazioni inutili.

Come tutti, anche noi abbiamo a che fare con l’INPS e le procedure che riguardano l’assegnazione di invalidità, le revisioni – sì, ogni tot vieni rivisto per confermare che tu sia sempre autistico – e quanto altro. Ora, se a un certo punto e per motivi che non sto a spiegare ti viene in mente che potresti chiedere l’accompagnamento per tuo figlio ti tocca infilarti in una procedura che si chiama aggravamento.

Mi direte e vabbè, dai, è un’etichetta, fregatene, punta alla sostanza. Non è proprio così: le parole pesano e succede che siano molti i professionisti – neuropsichiatri, psicologi, pediatri – che rifiutano l’idea di procedere con una richiesta simile quando di fronte hanno, appunto, un bambino o un ragazzino, per quanto disabile. Li capisco: come fai a dichiarare che un bambino che sta crescendo e probabilmente, grazie alle “terapie”, migliorando, si sta aggravando? Come fa una famiglia a non sentirsi in difetto già in partenza andando a dichiarare che il proprio figlio si sta aggravando?

Trova le differenze (a parte il biondo e il bruno): se non si vedono non vuole dire che non ci sono.

Trova le differenze (a parte il biondo e il bruno): se non si vedono non vuole dire che non ci sono.

Me la sono raccontata così: l’aggravamento (e l’accompagnamento che ne deriva), è nato per le persone anziane che nel tempo, a causa del tempo che passa, per malattie e accidenti diversi, difficilmente migliorano. Nessuno ha pensato a una parola specifica per i bambini e per i ragazzini, anche se le circostanze non potrebbero essere più diverse.

La spiegazione è semplice: l’aggravamento si chiede quando questi bambini hanno difficoltà a essere autonomi nella vita quotidiana, il che non vuol dire essere capaci di andare a fare la pipì da soli o di lavarsi i denti ma di stare nel mondo al 100%, quando è evidente che c’è un gap tra loro e i pari età che non hanno problemi.

Guardando tuo figlio crescere impari a vedere due strade diverse: quella di un bambino che sta recuperando il gap – quanto bene non importa –  e quella di un bambino che crescendo diventa con più evidenza diverso dai suoi coetanei. A tre anni tanti bambini non parlano e le differenze possono essere sfumate, addirittura non percepibili, a sei anni quelli che non parlano forse hanno un problema. È uno sdoppiamento che disturba e confonde.

Quindi, alla fine, è un aggravamento? Secondo me no, è uno sviluppo a velocità diversa, un viaggio a scartamento ridotto che dovrebbe essere tutelato con una parola tutta sua. Ma si chiama aggravamento e questa parola un po’ complica le cose, soprattutto quando sei davanti a una commissione di medici che molto probabilmente non ha nemmeno una preparazione adeguata sull’argomento autismo (e che valuterà le condizioni per assegnare l’accompagnamento).

È con questa parola in testa che devi andare a spiegare tuo figlio: quello che forse mangia da solo, si veste da solo e la pipì sa andare a farla da solo ma che rimane comunque autistico.

Come dicevo all’inizio: complicazioni inutili e tante famiglie che non godono di un diritto che dovrebbe essere loro.

Le parole sanno davvero essere pesanti.

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Farsi aiutare per tornare ad aiutare

Piccolissima all'asilo nido

Piccolissima all’asilo nido

Nel giorno più triste dell’anno so che c’è una cosa sola che è sempre una botola verso un abisso di tristezza ma che, con un certo orgoglio, oggi riesco a fare senza stare male: guardare le foto della Bruna da piccolissima, diciamo i primi due anni. Non credo di essere la sola, anzi, lo vedo fare spesso, lo leggo di frequente nei gruppi online in cui bazzicano genitori di bambini e ragazzi autistici: ci sono queste foto e la domanda, spesso un’affermazione che dice, all’incirca, cose come ecco il mio bambino piccolo nei giorni in cui l’autismo non era ancora parte del nostro mondo, allora sembrava essere tutto ok, quando è successo che tutto è cambiato dal giorno alla notte?

Per me (e solo per me, questa è la spiegazione che mi sono data io), questa domanda ne nasconde un’altra molto più dolorosa: come ho fatto a non accorgermene? E via dicendo: perché non mi sono allarmata quando vedevo che non indicava le cose? Perché ho pensato e pensato e pensato “ma sì, prima o poi parlerà” invece di dare il tormento al pediatra? Perché non mi sono accorta che le sue paure erano diverse e troppo più grandi di quelle degli altri bambini? Perché ci ha messo dei mesi a prendere il coraggio di salire sullo scivolo dell’asilo nido mentre gli altri sfrecciavano come saette?

Non è salutare per niente questo accanirsi e cercare il momento esatto, il motivo, i segnali. Ognuno può preoccuparsi o meno di andare a cercare le cause (ha senso? Non lo so), ma qui non sto parlando di questo: parlo di quella fase dolorosa – che forse è di elaborazione di questo lutto che è scoprire di avere un bambino disabile – in cui rimugini giorno e notte e in un attimo il pensiero è diventato ossessione. Non fai più niente se non pensarci, non parli di altro, ti senti un ramo secco senza più linfa e un po’ ce l’hai con chi ami e anche un po’ con questo bambino che ti ha complicato la vita per sempre.

Ho passato questa fase e mi addolora leggere e ascoltare un genitore che ci sta passando. Il mio consiglio migliore è: fatti aiutare. Non necessariamente a pagamento, ma che sia una figura qualificata. Proprio come in tanti altri momenti della vita anche questo è il momento in cui capisci che i parenti e gli amici non valgono perché sono armati delle migliori intenzioni ma, tentando di consolarti, minimizzano o dicono cose inopportune. Perché non farsi aiutare significa perdere tempo per tornare in salute, lucidi, stanchi ma combattivi, meno arrabbiati, tutto insieme la premessa migliore per tornare a occuparsi di tuo figlio disabile senza filtrarlo prima tra le maglie appiccicose dell’arrovellamento infinito.

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