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Ammessa alla quarta elementare

Quando le cose vanno bene non scrivo e non mi piace: penso che con uno sforzo in più potrei parlare delle buone pratiche – soprattutto scolastiche – che circondando mia figlia e noi e ci rendono la vita più leggera e gestibile per dire che le buone prassi esistono e, quando è possibile, come lavorare per arrivarci.

In questo modo la mia voce si aggiunge a quelle che in altri blog, sui gruppi Facebook e altrove contribuiscono a indicare norme, riferimenti e anche solo buone idee per lavorare con i bambini autistici. Sono la prima a usarli, come ho fatto di recente chiedendo qualche informazione in più sull’iter giudiziario per ottenere l’accompagnamento (ehi, non tutto funziona benissimo anche qui da noi e alla fine ci siamo decisi per il ricorso all’INPS), ma c’è qualcosa in più che mi frena ed è una sorta di “come oso” che nasce dal confronto quotidiano con troppe situazioni che non funzionano a dovere. Lavorerò su me stessa per farci i conti ed è tutto quello che mi sento di dire per ora.

Succede però che alcune notizie che girano vorticosamente tra quotidiani e gruppi Facebook e che cerco di ignorare poi diventino del tutto non ignorabili. Questa estate è successo con la notizia della madre del ragazzo autistico che ha frequentato con lui i cinque anni di superiori per seguirlo lungo una strada che fin dall’inizio si era presentata male: “Gli educatori continuavano a cambiare, le figure non erano formate, la scuola non poteva assicurare una presenza costante. Mancanza di fondi: ho capito che dovevo fare da sola”.

La naturale ammirazione per una scelta così impegnativa e drastica è scontata e, come è logico, nessuno può permettersi di giudicare una situazione di cui nulla si sa a parte quello che è possibile leggere nell’articolo di Repubblica o altrove (lo stesso vale per la notizia del bambino autistico “abbandonato” dalla famiglia, della quale credo sia meglio che nessuno parli se non direttamente coinvolto), però ci ho pensato per giorni e ho poche cose da dire proprio a partire da questo spunto.

La prima è un dato di fatto: notizie di questo genere non si possono fermare – le storie delle madri coraggio nella disabilità sono miele per la stampa – e il fatto che l’articolo indichi “l’emergenza autismo” (“100 mila bambini e 400 mila adulti, ignorati dalla scuola, dalla sanità e dallo Stato”) quello che rimane è soprattutto l’atto straordinario al quale nessuno dovrebbe mai arrivare se la scuola funzionasse a dovere: fatevi un giro su Google con la keyword “decreto 66 inclusione scolastica” per un veloce assaggio del nostro amaro calice quotidiano.

La seconda la cito solo tangenzialmente perché apre mondi dopo mondi ed è naturalmente la rappresentazione della madre come unico polo attorno al quale tutto gira e in base al quale le cose funzionano o non funzionano: dando pure per assodato che mediamente in Italia la donna guadagna meno dell’uomo ed è la prima a rinunciare a lavorare in caso di disabilità – sempre che sia possibile e al prezzo di dissesti economici familiari che solo chi rinuncia a una entrata fissa conosce – c’è tutto il contorno di identità individuale che si diluisce dentro quella del figlio disabile (quante terapiste dei vostri figli non vi chiamano con il vostro nome proprio ma “mamma”? Io forse sono troppo reattiva ma credo sia un piccolo indicatore di quello che sto cercando di dire), del ruolo di caregiver e le difficoltà fisiche e psicologiche che ne derivano, e dell’eterno perpetuarsi dell’immagine di noi come “guerriere” ed “eroine” che probabilmente – o almeno io – non vogliamo essere, perché non basta a far avere a un figlio tutto ma proprio tutto quello di cui ha bisogno.

La terza si lega parzialmente alla seconda ed è quella che più mi intimidisce: nel mondo del disability/inspiration porn (non solo, succede anche in altri contesti, per esempio nel caso di disturbi come la depressione), complesso e variegato, c’è anche l’idea che “darsi da fare” sia la chiave per riuscire sempre e comunque, con conseguente contorno di sensi di colpa per chi semplicemente non può, non riesce o non vuole per problemi fisici, economici, familiari, perpetuando l’idea che a un certo punto sia preferibile arrangiarsi piuttosto che pretendere ciò che ci spetta: una scuola decente, i sussidi statali dovuti, un progetto di vita solido, una presa in carico soddisfacente da parte della sanità pubblica.

Insieme al grande racconto esemplare che dura un’estate continuo ad augurarmi di leggere e vivere mille racconti di piccole e piccolissime buone storie quotidiane: se lo meritano non solo i genitori ma anche gli insegnanti, i medici, i terapisti, gli psicologi e tutti quelli che costruiscono il futuro insieme a noi.

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2 thoughts on “Ammessa alla quarta elementare

  1. francesca m says:

    Ciao, ogni tanto vengo a vedere se hai scritto qualcosa perchè è sempre interessante leggerti!
    Sono contenta che le cose vadano bene.
    Purtroppo di mio non riesco mai ad evitare di leggere le “notizie” relative all’autismo, anche se di solito mi provocano la gastrite come minimo. Soprattutto perchè prima o poi immagino che dovrò spiegare a mio figlio qualcosa sulla sua condizione e di certo – siccome legge dallo scorso anno il giornale – non penso sia granchè per lui leggere di un ragazzino abbandonato dalla famiglia perchè autistico. Ma più in generale anche questa cosa per cui l’autismo sia “gravissimo”, un'”emergenza” ecc. quando ormai almeno la metà dei bimbi diagnosticati in realtà sono “lievi” “particolari” … e un tempo sarebbero cresciuti – con le loro difficoltà ma senza diagnosi.
    Sulla mamma che si è fatta 5 anni di superiori, penso sia una cosa assurda … a sto punto se devi stare in aula con tua mamma, se hai delle buone capacità di apprendimento meglio studiare da casa e fare gli esami altrimenti meglio un luogo diverso dalla scuola dove imparare l’autonomia … oppure meglio “pagare” un’educatrice o ancora meglio un “educatore” maschio di tasca propria da mandare a scuola e continuare a lavorare per pagarlo (nel frattempo cercando le strade legali per farlo pagare allo stato questo educatore) … meglio anche e soprattutto per il figlio intendo … anche se disabili non sono più bambini e sono sicuramente contenti di essere il più possibile autonomi.

    • Daniela Scapoli says:

      Francesca mi ero scordata il tuo commento, perdonami. Non vogliamo magari pensare che ogni storia è così personale che – quando sarà – ai figli dovremo spiegare il LORO autismo? Non tutto aiuta – le visite all’INPS non di certo, per esempio – ma insomma, io credo si possa fare.

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