Scrivo per lavoro e forse per questo faccio più attenzione alle parole che incontro e a quelle che riguardano la mia famiglia, a quelle che danno vita a complicazioni inutili.
Come tutti, anche noi abbiamo a che fare con l’INPS e le procedure che riguardano l’assegnazione di invalidità, le revisioni – sì, ogni tot vieni rivisto per confermare che tu sia sempre autistico – e quanto altro. Ora, se a un certo punto e per motivi che non sto a spiegare ti viene in mente che potresti chiedere l’accompagnamento per tuo figlio ti tocca infilarti in una procedura che si chiama aggravamento.
Mi direte e vabbè, dai, è un’etichetta, fregatene, punta alla sostanza. Non è proprio così: le parole pesano e succede che siano molti i professionisti – neuropsichiatri, psicologi, pediatri – che rifiutano l’idea di procedere con una richiesta simile quando di fronte hanno, appunto, un bambino o un ragazzino, per quanto disabile. Li capisco: come fai a dichiarare che un bambino che sta crescendo e probabilmente, grazie alle “terapie”, migliorando, si sta aggravando? Come fa una famiglia a non sentirsi in difetto già in partenza andando a dichiarare che il proprio figlio si sta aggravando?
Me la sono raccontata così: l’aggravamento (e l’accompagnamento che ne deriva), è nato per le persone anziane che nel tempo, a causa del tempo che passa, per malattie e accidenti diversi, difficilmente migliorano. Nessuno ha pensato a una parola specifica per i bambini e per i ragazzini, anche se le circostanze non potrebbero essere più diverse.
La spiegazione è semplice: l’aggravamento si chiede quando questi bambini hanno difficoltà a essere autonomi nella vita quotidiana, il che non vuol dire essere capaci di andare a fare la pipì da soli o di lavarsi i denti ma di stare nel mondo al 100%, quando è evidente che c’è un gap tra loro e i pari età che non hanno problemi.
Guardando tuo figlio crescere impari a vedere due strade diverse: quella di un bambino che sta recuperando il gap – quanto bene non importa – e quella di un bambino che crescendo diventa con più evidenza diverso dai suoi coetanei. A tre anni tanti bambini non parlano e le differenze possono essere sfumate, addirittura non percepibili, a sei anni quelli che non parlano forse hanno un problema. È uno sdoppiamento che disturba e confonde.
Quindi, alla fine, è un aggravamento? Secondo me no, è uno sviluppo a velocità diversa, un viaggio a scartamento ridotto che dovrebbe essere tutelato con una parola tutta sua. Ma si chiama aggravamento e questa parola un po’ complica le cose, soprattutto quando sei davanti a una commissione di medici che molto probabilmente non ha nemmeno una preparazione adeguata sull’argomento autismo (e che valuterà le condizioni per assegnare l’accompagnamento).
È con questa parola in testa che devi andare a spiegare tuo figlio: quello che forse mangia da solo, si veste da solo e la pipì sa andare a farla da solo ma che rimane comunque autistico.
Come dicevo all’inizio: complicazioni inutili e tante famiglie che non godono di un diritto che dovrebbe essere loro.
Le parole sanno davvero essere pesanti.
Si, hai ragione, le parole sono pesanti fardelli da portare e che ti seguono per molto tempo o per sempre.
Eccome, per questo dobbiamo sempre farci caso e – se non le possiamo cambiare – spiegarle.
Anche mia madre anni fa ha dovuto tribolare non poco per chiedere l’accompagnamento di mia sorella e come dici tu le parole possono essere davvero pesanti.
Infatti ti dico che le scene “migliori” le ho viste con la commissione per l’interdizione ai 18 anni, che anche lì ce ne sarebbe da parlare.
In molti pensano che fai tutto questo per i soldi, ma solo tu sai che lo fai soltanto per tutelare tua figlia, ed è la cosa a mio parere più importante.
Un abbraccio.
Grazie, è vero, è un suo diritto. Vedremo come andrà.
Non lo so bene come funziona nei caso dei bimbi, però mia suocera che ha dei problemi di salute cronici gravi e che ha bisogno di aiuto (e quindi deve spendere dei soldi per questo aiuto), mi ha detto che l’accompagnamento ora – con il taglio alla spesa sociale – lo danno solo se sei su una sedia a rotelle. Nel caso di bimbi piccoli, non si può certo dire che quelli che non hanno disabilità possono essere lasciati da soli: hanno tutti bisogno di essere accompagnati.
Io penso che sarebbe più giusto che lo stato pagasse e fornisse le terapie che necessitano. O che fossero in qualche modo remunerati i givecare.
Comunque ti auguro che tua figlia migliori sempre un po’ di più.
Grazie Francesca, il nocciolo della questione è proprio il punto di vista da cui valuti l’autonomia di un bambino, certo se ovunque in Italia si avesse accesso agli interventi consigliati avremmo già fatto un grosso passo avanti.
Grazie, Daniela! Non riesco a dire molto di più in questo momento e sono felice di incontrarti e conoscerti al FreelanceCamp: è grazie a loro che ti ho scoperta e scopro questo tuo meraviglioso blog di vita. Diffondo e ti adotto per la campagna #adotta1blogger, da una idea di una torinese meravigliosa come te, Paola Chiesa 🙂
Ciao Gloria, grazie! Allora ci vediamo sicuramente al Freelancecamp e grazie per l’adozione (vado a informarmi) 😀
ti mando anche un messaggio su FB, buona giornata 🙂
Ho letto un sacco di volte questo tuo post e un po’ mi urta dentro. Dalle parole che scrivi so che state facendo tanto – e spendendo tanti soldi – per tua figlia e questo non è giusto nel senso che le terapie efficaci e necessarie dovrebbero essere gratuite.
Però non penso che tutti i bambini nello spettro siano da considerare invalidi gravi (addirittura non credo che tutti i bambini nello spettro siano da considerare invalidi); sono la prima a voler lottare per avere un’educazione giusta e individualizzata, perchè si trovino le risorse perchè tutti possano raggiungere il loro massimo potenziale. Però mi sembra una sconfitta chiedere l’aggravamente in un caso in cui – mi pare per fortuna – l’autismo sia lieve e in costante miglioramento. Certo il bimbo che mangia da solo, si veste, sa andare in bagno sarà sempre autistico perchè il suo cervello funziona in modo diverso, però dichiararlo disabile grave mi sembra scorretto nei confronti di chi deve gestire una situazione molto più pesante e ancora di più nei confronti del bimbo stesso e anche controproducente alla lunga. Perchè le risorse sono limitate ed è un po’ come dire: diamogli sti quattro soldi e si arrangi la famiglia, invece di usarle per attivare una vera inclusione e un vero recupero.
Mi spiace molto che tu ti senta urtata ma comprendo. Se è vero che mia figlia piano piano migliora, è vero altrettanto – anzi, purtroppo di più – che più cresce più diventa evidente quanto sia poco autonoma rispetto ai suoi pari età e ho idea che andando avanti questa cosa sarà sempre più marcata. In ogni caso forse l’invalidità è una etichetta “sbagliata” per gli alti funzionamenti nei quali, ahimè, mia figlia non rientra (e comunque anche qui si potrebbe discutere a lungo).
Scusa il mio commento di prima, dettato forse proprio dal fatto che le parole hanno un enorme peso e fanno male. Non vorrei passare per quella che fa finta che le difficoltà del proprio figlio non esistono; e che al momento sono combattutta dall’ansia che tali difficoltà non diventino – a scuola in primis – scusa per pretendere da lui di meno e trattarlo da “poverino”. Per me sono da stimolo per pretendere da lui il più possibile; ma fuori vedo atteggiamenti che non mi piacciono.
Gli NPI inoltre aggravano la situazione, perchè di fatto dicono che non occorre fare quasi nulla, che la cosa più importante è che la famiglia sia consapevole e capisca il perchè di certi comportamenti, che in passato non sarebbe stato diagnosticato perchè sono cambiati molto i parametri … e allora io mi preoccupo: a che serve l’etichetta? oltre a farci stare in ansia e ad allarmare gli insegnanti e a far sì che le persone si comportino in modo non naturale.
Io voglio sfruttarla al meglio e allora – leggendo anche il tuo post successivo – visto che abitiamo vicino – ti posso chiedere i contatti di chi vi sta aiutando con l’ABA perchè vorrei fargli fare della terapia cognitivo comportamentale (che non ho ancora capito ma credo non si sovrapponga interamente all’ABA e di fatto è ciò che consigliano su Spazio Asperger dove mi trovo a mio agio perchè hanno un approccio al mondo ND “non patologico” difficile da trovare) anche se nessuno ce la propone nè ce la consiglia.
Ciao Francesca,
non scusarti. L’etichetta è un valore aggiunto se tutti quelli che si muovono attorno a questa etichetta ne comprendono il senso e si facciano venire una sana curiosità di capire meglio, secondo me. Possiamo parlare dell’ABA, se sei d’accordo ci sentiamo via mail.
A presto 🙂
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