Grandi tappe, La Bruna

Piccole, grandi tappe: la Bruna tra biciclette, mutandine e telefonini

La Bruna e il suo adorato triciclo

La Bruna e il suo adorato triciclo

La Bruna funziona così: per un po’ nulla cambia, poi tutto esplode in un momento lasciandoti – lasciandoci – senza parole e senza fiato. Non sto a spiegare cosa vuol dire per un genitore di un bambino speciale, anche solo “leggermente speciale”, vedere con i propri occhi o sentire con le proprie orecchie un gesto nuovo, una parola mai sentita prima, un traguardo finalmente raggiunto: io, che non sono una che esprime alla grande le sue emozioni, batto le mani, rido, mi metto a saltare per la gioia ogni volta che la Bruna ce la fa e mi guarda sorridendo con tutti i suoi denti, consapevole di aver superato un nuovo ostacolo.

Qualche settimana fa, guardando la biciclettina con le rotelle fare la parte del soprammobile del nostro portico – la Bruna non ci sale perché sa di non essere capace a pedalare – mi sono detta ok, forse questa non è la partenza giusta: sono salita in macchina e al negozio di roba usata per bimbi vicino a casa ho comprato due triclini vecchi di metallo, tenuti bene e colorati, venti euro in tutto. È bastato quello: la Bruna lo ha amato a prima vista, si è messa a pedalare e ora non la smette più, fila via velocissima sfidando curve e ostacoli e pure derapando un po’ in frenata.

Dalla prima pedalata a qualche giorno fa è passato un mese, un mese e mezzo, e mi sono detta bah, proviamo: Bruna, vuoi salire sulla bicicletta e provare? Tutto mi aspettavo tranne che un sì e invece lei è scesa dal triciclo, ha inforcato la bici et voilà, dopo una spinta ha iniziato a pedalare: con un po’ di fatica, mettendo male i piedi, ma ha iniziato. Evviva: danza della felicità per mamma, sorriso tuttodenti per la Bruna.

Nel giro di qualche giorno sono arrivate anche altre novità:

– Debolina com’è, la Bruna fa uno sforzo gigante per togliersi le scarpe, quelle da ginnastica con il velcro che porta tutti i giorni per andare all’asilo. Ma ha capito: apre la fettuccia di velcro, la allenta, afferra la scarpa dal tallone e la toglie. Non sempre ci riesce, a volte si blocca su qualche tappa, si scazza dalla frustrazione ma ha capito e lo fa, o almeno ci prova e adesso spesso ci riesce.

– «Metto le mutande!». Questa è di ieri sera: la Bruna ha preso le sue mutande dalle mie mani e – da seduta – se le è infilate. Sorrisone? Più o meno, come dire oh mamma, ogni tanto mi prendi proprio per fessa, che ti pensavi?

– Parlare al telefono. Ok, parlare è un’iperbole, ma almeno siamo passati dal silenzio totale al ciao mamma/papà/nonno/nonna seguito da qualche scarna informazione su se stessa, su quello che sta facendo o da risposte sì/no a qualche domanda.

Per ora è tutto, cioè moltissimo.

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Grandi tappe, La Bruna, Vita quotidiana

Lo spannolinamento difficile esiste

All’ennesima comparsa, su una delle tante pagine Facebook dedicata alle mamme, del post in stile “togligli il pannolino in un amen” – con tanto di commenti di madri disperate che non ci riescono e si sentono ingiustamente madri di merda – mi sento in dovere di condividere qui la mia esperienza di spannolinamento, a uso consolatorio delle mamme il cui pupo o pupa non ne vuole sapere di liberarsi del pannolino in circa 48 ore come sembra che tutti gli altri bambini del mondo riescano a fare.
Gli spannolinamenti difficili e lunghi esistono, è successo a noi con la Bruna. La Bruna è stata ufficialmente spannolinata qualche giorno prima di compiere tre anni, lo scorso giugno – a due anni le è nata una sorella, la Bionda, e quello non ci è sembrato il momento migliore per toglierle il pannolino, quindi abbiamo passato – in corrispondenza di due settimane di vacanza al mare. Dopo aver letto e riletto questo e quello e sentito mamme che nel giro di pochi giorni avevano detto addio al pannolino mi ero preparata a combattere un po’ – la Bruna non è mai stata una sprinter in nessun campo, ha gattonato a un anno e camminato a 18 mesi, tanto per capirci – ma a risolvere la questione più o meno al momento di tornare dalle vacanze. La sentite questa risata? È l’universo che ancora mi percula.

La Bruna in vacanza, durante i primi giorni di spannolinamento

Appena arrivati al mare, dunque, via il pannolino. È iniziata così una serie di appuntamenti frequentissimi con il vasino per cercare di intercettare la pipì, con la ricerca della giusta gratificazione – né troppo, né poco – e con il sempre presente rituale del saluto alla pipì, e i tentativi di celare il disappunto ogni volta che la Bruna se la faceva addosso guardandomi sbigottita come a dire “ma che succede, mi sto bagnando, perché?”. Con la cacca, peggio: nelle mutande ogni santa volta. L’unica cosa degna di nota dei primi 20-30 giorni è stata la capacità della Bruna di tenerla nei momenti giusti, ovvero quando ci muovevamo in macchina, sempre però con una traversa sotto il suo culetto e il vasino in borsa: abbiamo estratto il vasino un po’ ovunque, in visita dai parenti come nella lavanderia a gettoni, senza alcuna esitazione, e spesso lo abbiamo riposto intonso per poi dover cambiare la Bruna tutta pisciata dopo appena un minuto.
Così siamo tornati a casa a metà giugno con pochi progressi e l’idea che il momento magico per noi non sarebbe mai arrivato. È andata avanti così fino a fine luglio, alla fine dell’asilo nido, con le povere educatrici che hanno sopportato senza fiatare le cacche nelle mutande della Bruna, che nel frattempo migliorava leggermente nella gestione della pipì: non chiamava ma la teneva e la faceva solo quando veniva accompagnata in bagno, almeno quello.
Non ricordo esattamente quando sia arrivato il primo “la pipì!”, ma credo non prima di ferragosto: da quel giorno in poi c’è stato ancora qualche incidente dovuto a troppa concentrazione sul gioco o sul cibo, in stile “so che dovrei chiamare ma non ne ho voglia quindi fa niente, mi piscio”, e poi basta. In sostanza la questione si è risolta più o meno a metà settembre, in concomitanza con l’inizio della scuola materna. Due mesi e mezzo dopo l’inizio, altro che 48 ore.
Ah, e ancora non ci siamo del tutto: la Bruna ora chiama sempre per andare a farla, ma la chiama sempre pipì anche se quello che deve fare è “pollo” (che oh, lentamente sta diventando popò).
Insomma, mamme di piccoli campioni di lentezza, forza e coraggio, va bene anche avere un bambino che non brucia tutte le tappe: prima o poi anche lui/lei arriverà al suo traguardo.
Sullo spannolinamento notturno invece non mi esprimo, che lì ci è andata ultrabene: tolto subito e mai più rimesso e solo un paio di incidenti, a riprova che anche i pigri, a volte, sanno fare le lepri.

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