La Bruna

(Buone) notizie che (forse) non lo erano

Questa "faccia da bravabambina" non la racconta giusta

Questa “faccia da bravabambina” non la racconta giusta

Faccio il verso a una rubrica famosa di Luca Sofri (“Notizie che non lo erano”), perché in casa nostra funziona un po’ così, ovvero che la Bruna ti rivela qualcosa di inaspettato e poi il passo successivo è capire se quanto raccontato sia vero o inventato – non una brutta cosa in entrambi i casi – o ricavato da chissà quale storia o dialogo ascoltato chissà dove.

Mi spiego meglio: se la Bruna ci racconta qualcosa che è successo nella sua vita è fantastico – non lo fa mai se non su richiesta – se inventa qualcosa è abbastanza fantastico – ehi, usa la fantasia! – se riporta qualcosa di ascoltato come se fosse stato vissuto da lei invece boh, forse possiamo dire che rimane comunque il valore del racconto.

E insomma, ieri del tutto inaspettatamente la Bruna ci ha detto che G, la sua insegnante di sostegno, l’ha sgridata. Le ho chiesto cosa G le avesse detto, mi ha risposto “Mi ha detto: vai in classe!”, confessione resa con un sentore di magone nell’aria.

La cosa è fantastica non solo perché ci è stata raccontata spontaneamente ma anche perché:

  • la sgridata ha turbato così tanto la Bruna che lei ha sentito l’esigenza di raccontarcelo;
  • finalmente la Bruna percepisce il valore di una sgridata, cosa che di solito, se non proviene da me o David, cade un po’ nel vuoto.

Quindi stamattina io e l’altra maestra F., a cui ho raccontato la confessione, abbiamo dato vita a un quadretto insolito in cui entrambe festeggiavamo una sgridata. Nel mondo in cui vive uno Spettro Autistico succede anche questo.

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Vita quotidiana

Spiegare la morte ai bambini

lisa_papa

Mio papà con la Bruna appena nata

Ecco, adesso so che io non sono in grado di inventare storie bellissime e spiegazioni efficaci per far comprendere a due bambine sotto i cinque anni cosa sia la morte.

La Bionda in questi giorni ha detto – a se stessa e a noi – che il nonno è in ospedale, è andato dal dottore, doveva fare la puntura e infine che è uscito per tagliare i capelli e che comunque, in ogni caso, non può tornare più.

La Bruna ha chiesto questa mattina, dopo sei giorni, dove fosse il nonno. Quando provo a spiegarle o a dirle qualcosa lei cambia discorso, e a quel punto lì io so che che mi devo fermare perché lei non vuole sentire altro.

I nonni sono importanti: mio papà, pur potendo poco, è stato un nonno bravo e premuroso, sempre preoccupato per loro.

Non ho il conforto della fede ma certamente ho voluto provare a dire che il nonno ora è altra cosa, forse aria, forse nuvole, magari mare, e che comunque vivrà sempre e sempre penserà a loro: e che anche se praticamente non li ha mai visti, e nonostante tutto quello in cui io non credo, ora ha riaperto gli occhi dopo quattro anni di cecità e finalmente vede i suoi quattro nipoti in tutta la loro bellezza.

Sono certa che ci sono tanti modi per dire e spiegare la morte ai bambini ma io non li conosco e in questo momento sono presuntuosa al punto di credere che vada bene anche così. La vita ti dà tempo per capire e forse venire a patti con il fatto che siamo finiti. E l’eredità di affetti, infine, è tutto quel che conta.

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La Bruna, lavori da mamma

La mamma arrabbiata, ovvero quello che non voglio essere

Ho la sensazione che siamo in tante a sentirci così, noi mamme di bambini con bisogni speciali. Quello che di tanto in tanto fa di me una mamma arrabbiata è il confronto con i figli di altre mamme: succede al parco, all’asilo mentre sto cambiando la Bruna, sul web, ovunque ci sia un bambino neurotipico e una mamma che lo loda o si lamenta di lui. Mamme, fate benissimo a fare quel che fate, è parte dell’essere mamma, questo mio è un problema del tutto personale.

Daniela Bruna bacio

Io e la Bruna, circa quattro anni fa.

La volta in cui mi sono resa conto di essere molto arrabbiata ne ha fatto le spese una cara amica, di quelle che vogliono bene a me e alle mie figlie senza nessuna malizia, nessuna ansia, nessuna forma di competizione. Parlando, lei mi ha detto che la sua bimba, sei mesi meno della Bruna, la mattina voleva vestirsi da sola per andare all’asilo, e ha aggiunto un commento tipo “solo che adesso ci mettiamo un’ora a prepararci”. Senza nemmeno riflettere, non so perché – non ricordo se fossi stanca o se fosse successo qualcosa di particolare con la Bruna – mi è uscita la peggior risposta possibile, nei dintorni di “che cazzo ti lamenti che mia figlia non sa nemmeno cosa voglia dire vestirsi da sola e fa fatica anche a togliersi le scarpe”.

Lì per lì non me ne sono nemmeno accorta. Ho iniziato a rifletterci giorno dopo giorno, rendendomi conto di quante sono le volte in cui osservo un bambino normodotato fare tutte quelle cose che la Bruna non sa fare – saltare a piedi pari da un gradino, fare una capriola, infilarsi una scarpa – sentendomi sopraffatta da sentimenti che faccio fatica a spiegare anche a me stessa, un misto di paura per il futuro che aspetta mia figlia, ansia di vedere i risultati delle terapie, tenerezza per questa bambina che vuole confrontarsi con il mondo e spesso non sa proprio da dove cominciare.

Perciò a volte mi arrabbio ma vi giuro, mamme, non ce l’ho con voi: il mio impegno quotidiano, tra tanti altri, è quello di diventare migliore, così tanto da non dover sentire più quella stilettata ogni volta che vedo un progresso negli altri e non in mia figlia, così tanto da seppellire il sarcasmo che mi sgorga dentro come un Vesuvio ogni volta che sento un problemino da niente ingigantito a motivo per cui non dormire la notte. Anche perché una figlia neurotipica ce l’ho e quando sono con lei sono anche io una mamma normale, e vivere sdoppiata non mi piace per niente.

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