La Bruna sta facendo la sua valutazione neuropsichiatrica. Se non siete pratici di questa roba: è un momento impegnativo ma anche divertente per chi è protagonista dei vari test (in questo caso, PEP3 e WPPSI-III), sono quasi tutti giochi e il bravo neuropsichiatra sa che deve alternare test e momenti di depressurizzazione del bambino lasciandogli scegliere un’attività a lui gradita. La Bruna non si tira mai indietro, abituata com’è alle sessioni a tavolino: tiene duro, lavora, si scazza solo quando i test salgono di difficoltà e diventano problematici per lei.
Il mio consiglio è di essere in stanza o di avere la possibilità di seguire i test da monitor perché, tra altre ragioni interessanti, è un momento utile anche per il genitore. Perché te ne devi stare zitto. Finché va tutto bene è tutto molto bello, ti senti sereno e anche un po’ orgoglioso e soprattutto ti sembra che tutti quei soldi andati via negli anni siano stati spesi bene.
Quando non va tanto bene è una sudata. Vuoi intervenire ma non puoi. Vuoi spiegare che la parola che doveva dire l’ha detta ma l’ha detta così male e così piano che tu dottore non l’hai capita. Che ok, quel gioco lì non lo sa fare ma guardi, dottore, a quell’altro gioco là è brava. Vuoi proteggere, soprattutto te stesso, ma da che cosa? Dalla visione del fallimento di tanti tuoi sogni di madre, provando come sempre a evitare che il pensiero prenda ogni volta quel binario laterale, per esempio quando la figlia brillante e arguta di un’amica ti dice che da grande farà l’etologa e tu ti chiedi se tua figlia saprà mai cosa significhi la parola “etologa”.
La maternità di una figlia disabile mi ha tolto una fetta di quello che come tipica-mamma avrei potuto e desiderato fare, perfino la madre degenere che celebra con una punta di sarcasmo i guizzi di geniale follia del proprio figlio. Infatti non perdo occasione di farlo con la Bionda, patetica rivalsa sui grandi “no, questo no” che riguardano la mia figlia maggiore.
Il cognitivo, se non si è capito, è la parte che più mi offende di tutta questa storia di autismo: leggere, osservare, sapere, capire, riflettere, imparare a farlo non sono dettagli marginali. Vorrei che mia figlia potesse fare quel che ho avuto l’opportunità e la fortuna di fare io e duplicarlo, centuplicarlo, farlo mille miliardi di volte meglio di me. E invece?
E allora che si fa? Non lo so: sì, la psicoterapia per me mi pare una strada valida. Un altro giorno, però. Per ora, senza sapere perché, volevo solo dire a chi passa di qui di non dimenticare che chi racconta questa storia sono io: lei, forse, la racconterebbe e la racconterà a modo suo, in modo molto diverso dal mio.