Vita quotidiana

La mia palla di Natale non sta(va) sull’albero ma aggrappata al mio ovaio

Io e palla di Natale conviviamo da anni, circa cinque o sei pare, ma ci siamo sempre ignorate. Lei, però, un anno fa ha deciso di crescere e di rompere i maroni fino a farsi sfrattare. Palla di Natale si chiama teratoma e stava appesa al mio ovaio destro, e quando s’è fatta troppo grossa – dieci centimetri – ha cominciato a torcermi l’ovaio mandandomi all’inferno dal dolore, sempre di più, fino a quando martedì scorso sono arrivata al pronto soccorso biascicando “perfavorestomoltomale” e collassando in barella, fine delle trasmissioni.

Da martedì a venerdì – giorno dell’operazione – io e palla di Natale, ricoverate in ospedale, abbiamo passato tanti bei momenti che qua riassumo brevemente:

Ginecologo 1: “Signora, mi sembra grave, la mando a fare l’ecografia”.
Ecografista: “Signora, questa roba è enorme e le ha torto l’ovaio al punto che non c’è più vascolarizzazione, sarà necrotico, lei resta in ospedale”.
Ginecologo 2: “Signora, allora, la situazione non mi sembra grave, magari domani la dimettiamo”.
Ginecologo 3: “Signora, la situazione mi sembra urgente, c’è posto venerdì, la operiamo”.
Ginecologo 4: “Signora, firmi qui, è il consenso a toglierle l’ovaio e la tuba. L’altro lo togliamo o vuole che lo salviamo?”.
Ginecologo 5: “Ma no, signora, la operiamo e tentiamo di salvare l’ovaio, la situazione non mi pare così complicata”.
Ginecologo 6 (in sala operatoria, 30 secondi prima dell’oblio): “Allora, signora, entro e vedo e faccio il possibile per tenerle l’ovaio, però non garantisco”.

Insomma, alla fine palla di Natale è andata, così come tutte le coliche renali di un anno intero che coliche renali non erano. L’ovaio destro è ancora con me. In ospedale ci hanno trattati bene, e le comiche riportate più sopra sembrano surreali ma entrano a pieno titolo nel percorso di individuazione della migliore maniera di procedere. Solo che hanno creato un bel po’ di confusione.

Quindi tutto bene quel che finisce bene, pare (attendo l’istologico quindi resto sul vago). Buon natale a tutti.

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La prima non bronchite della Bruna

Non è proprio la prima volta, ma la disinvoltura con cui la Bruna questa settimana non ha preso la bronchite mi dice che, forse, i suoi benedetti anticorpi hanno iniziato a lavorare come si deve.
Oggi dunque festeggiamo la prima non bronchite della Bruna, evviva evviva. A quasi tre anni e mezzo io e suo padre possiamo farci passare il terrore che ci assale al primo starnuto e che fino a ieri significava raffreddore, poi tosse, poi bronchite e quindi febbre, aerosol – ormai un pezzo di arredamento – e, ca va sans dire, antibiotico.

La Bruna al primo anno di asilo nido: molto divertimento e però anche molte malattie

Il primo e secondo anno di nido sono stati un disastro in piena regola tra otiti e bronchiti – ai dottori del Bassini di Cinisello va il mio eterno grazie per aver cacciato le otiti ricorrenti della Bruna – e il terzo prometteva già bene, ma mai come questa volta: raffreddore, tre giorni di naso colante e poi niente, no tosse (quella tosse che chiamava l’antibiotico e che ormai avrei riconosciuto tra mille altre), no febbre, nada, nicht.

Oggi la Bruna è andata all’asilo fresca come una rosa.

Ci sarebbe quasi da andare a prendere una torta.

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Lo spannolinamento difficile esiste

All’ennesima comparsa, su una delle tante pagine Facebook dedicata alle mamme, del post in stile “togligli il pannolino in un amen” – con tanto di commenti di madri disperate che non ci riescono e si sentono ingiustamente madri di merda – mi sento in dovere di condividere qui la mia esperienza di spannolinamento, a uso consolatorio delle mamme il cui pupo o pupa non ne vuole sapere di liberarsi del pannolino in circa 48 ore come sembra che tutti gli altri bambini del mondo riescano a fare.
Gli spannolinamenti difficili e lunghi esistono, è successo a noi con la Bruna. La Bruna è stata ufficialmente spannolinata qualche giorno prima di compiere tre anni, lo scorso giugno – a due anni le è nata una sorella, la Bionda, e quello non ci è sembrato il momento migliore per toglierle il pannolino, quindi abbiamo passato – in corrispondenza di due settimane di vacanza al mare. Dopo aver letto e riletto questo e quello e sentito mamme che nel giro di pochi giorni avevano detto addio al pannolino mi ero preparata a combattere un po’ – la Bruna non è mai stata una sprinter in nessun campo, ha gattonato a un anno e camminato a 18 mesi, tanto per capirci – ma a risolvere la questione più o meno al momento di tornare dalle vacanze. La sentite questa risata? È l’universo che ancora mi percula.

La Bruna in vacanza, durante i primi giorni di spannolinamento

Appena arrivati al mare, dunque, via il pannolino. È iniziata così una serie di appuntamenti frequentissimi con il vasino per cercare di intercettare la pipì, con la ricerca della giusta gratificazione – né troppo, né poco – e con il sempre presente rituale del saluto alla pipì, e i tentativi di celare il disappunto ogni volta che la Bruna se la faceva addosso guardandomi sbigottita come a dire “ma che succede, mi sto bagnando, perché?”. Con la cacca, peggio: nelle mutande ogni santa volta. L’unica cosa degna di nota dei primi 20-30 giorni è stata la capacità della Bruna di tenerla nei momenti giusti, ovvero quando ci muovevamo in macchina, sempre però con una traversa sotto il suo culetto e il vasino in borsa: abbiamo estratto il vasino un po’ ovunque, in visita dai parenti come nella lavanderia a gettoni, senza alcuna esitazione, e spesso lo abbiamo riposto intonso per poi dover cambiare la Bruna tutta pisciata dopo appena un minuto.
Così siamo tornati a casa a metà giugno con pochi progressi e l’idea che il momento magico per noi non sarebbe mai arrivato. È andata avanti così fino a fine luglio, alla fine dell’asilo nido, con le povere educatrici che hanno sopportato senza fiatare le cacche nelle mutande della Bruna, che nel frattempo migliorava leggermente nella gestione della pipì: non chiamava ma la teneva e la faceva solo quando veniva accompagnata in bagno, almeno quello.
Non ricordo esattamente quando sia arrivato il primo “la pipì!”, ma credo non prima di ferragosto: da quel giorno in poi c’è stato ancora qualche incidente dovuto a troppa concentrazione sul gioco o sul cibo, in stile “so che dovrei chiamare ma non ne ho voglia quindi fa niente, mi piscio”, e poi basta. In sostanza la questione si è risolta più o meno a metà settembre, in concomitanza con l’inizio della scuola materna. Due mesi e mezzo dopo l’inizio, altro che 48 ore.
Ah, e ancora non ci siamo del tutto: la Bruna ora chiama sempre per andare a farla, ma la chiama sempre pipì anche se quello che deve fare è “pollo” (che oh, lentamente sta diventando popò).
Insomma, mamme di piccoli campioni di lentezza, forza e coraggio, va bene anche avere un bambino che non brucia tutte le tappe: prima o poi anche lui/lei arriverà al suo traguardo.
Sullo spannolinamento notturno invece non mi esprimo, che lì ci è andata ultrabene: tolto subito e mai più rimesso e solo un paio di incidenti, a riprova che anche i pigri, a volte, sanno fare le lepri.

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