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Tutto è possibile

“Quando è arrivata a scuola aveva tre anni, non parlava, passava il tempo sotto i banchi”.

Ieri abbiamo conosciuto ufficialmente le maestre delle elementari della Bruna, con un passaggio di informazioni da parte delle maestre che stiamo per lasciare, e quel breve racconto della maestra che conosce la Bruna dal suo primo giorno di asilo ha dato subito tutta la dimensione di cosa la scuola pubblica abbia fatto in quattro anni con mia figlia.

Ora la Bruna ha sette anni, ha ancora grandi difficoltà ma è in grado di lavorare quasi al pari della sua classe.

Tutti abbiamo provato a rispettare una natura che sarà uguale a se stessa per sempre, e tutti abbiamo provato a crescerla mostrandole che conquistare qualche traguardo poteva rivelarsi piacevole per lei prima che per noi e lei, sorretta e inclusa, qualche traguardo lo ha attraversato con gioia e l’autostima rinvigorita.

Mi stupisce molto come siamo cambiati noi e quanto io sia stata pessimista all’inizio: quando gli interventi non sembravano arrivare a nulla, quando la vita era scandita dalla previsione mai sbagliata di cosa sarebbe successo in ogni occasione, quando il senso egoistico di delusione, l’apprensione, la rabbia dovevano essere direzionati bene per non finire addosso a chi mi sta vicino, soprattutto a mia figlia più piccola.

Dico sempre che posso parlare solo per un autismo, quello di mia figlia, e continuerò a sottolinearlo ogni volta che dirò o scriverò qualcosa. Ma ci tengo a dire a chi è all’inizio che tutto è possibile. Tutto è possibile non vuol dire illudersi ma trovare sempre la motivazione a fare, per dare ai bambini quello che può servire a tirare fuori il loro potenziale, di qualsiasi dimensione sia.

Per fare questo servono delle cose, delle persone e dei soldi e purtroppo non tutto è sempre accessibile e non tutto te lo puoi scegliere. Io posso dire quello che per la Bruna ha cambiato molte cose:

  • Maestre competenti con un po’ di voglia di mettersi in gioco, di capire e studiare l’autismo di mia figlia e mettere in pratica anche i suggerimenti che arrivavano dall’esterno. Siamo stati fortunati
  • Un pediatra capace di ascoltare: quando ci siamo decisi a parlarne, il nostro pediatra conosceva la Bruna da qualche mese e sapeva pochissime cose su di lei. Cosa ha fatto? Si è fidato di me. Gli ho detto senta, mia figlia ha qualcosa di strano e non ci dormo la notte e la sua risposta è stata “a me non sembra, ma se lei è così preoccupata allora vale la pena togliersi il dubbio”. È ancora il nostro pediatra e continua a sostenerci ogni volta che ne abbiamo bisogno
  • Una persona come punto di riferimento per tutti. Quando abbiamo cercato aiuto per la Bruna, il pediatra ci ha inviati al servizio di psicologia della ASL e lì abbiamo incontrato la psicologa che ci segue ancora, che organizza gli incontri periodici tra maestre e terapisti, si informa su cosa fare, cosa è stato fatto, che ogni tanto fa due chiacchiere con la Bruna per vedere come va. Gestire da soli un gruppo di lavoro che condivida impressioni, risultati e obiettivi non è impossibile ma è impegnativo e una figura professionale che se ne prenda carico è un aiuto prezioso
  • Quattro anni di asilo: in questo caso erano necessari e dobbiamo dire grazie soprattutto alla maestra di sostegno che non ha mai avuto dubbi e ci ha aiutati a difendere questa scelta
  • La decisione di non dare ascolto a chiunque ci abbia consigliato di fare i genitori e di lasciare fare ai professionisti. Ogni minuto di ogni giorno è un’occasione per imparare qualcosa: di tempo per i cartoni, le coccole e un libro da leggere insieme ne rimane sempre, ma questi bambini non vanno mollati mai
  • La decisione di provare a capire meglio l’ABA. Abbiamo trovato una brava supervisor e quello che ci ha insegnato ha dato i suoi frutti. Ci abbiamo provato perché quello che avevamo in mano era un’ora di logopedia e una di neuropsicomotricità a settimana e non sapevamo dove altro guardare, cosa fare. Capisco le posizioni di rifiuto totale dell’ABA da parte di tante persone autistiche, mi chiedo spesso molte cose sulla natura di mia figlia e sui limiti che dovremmo rispettare, ma ho visto la Bruna più in difficoltà in altre situazioni che non con l’ABA e credo che per noi questa sia stata una scelta sensata.
    Per scegliere bene in campo ABA (ma non solo), bisogna passare parecchio tempo a capirlo, leggendo molto, a raccogliere informazioni (Paperinik su Facebook è un gruppo dove se ne trovano molte), e poi ad assicurarsi che la persona individuata sia disponibile a condividere, spiegare e insegnare: non devono esserci misteri né porte chiuse
  • La condivisione: a scuola, in famiglia, tra gli amici. Alcune persone hanno voluto capirne di più, qualcuno mi ha passato informazioni molto utili e in genere chi lo sa si muove attorno alla Bruna con più naturalezza e non come se camminasse sempre sulle uova. Non ho sempre voglia di spiegare che mia figlia è autistica e spesso non è nemmeno la prima cosa che condivido di lei, e capisco molto bene chi decide di evitare il più possibile di dirlo: non è mai una decisione facile in entrambi i casi.
    Mi chiedo cento volte al giorno se sono una scellerata e cento volte mi dico che siccome non verrà mai il giorno in cui l’autismo sarà invisibile (dovrebbe esserlo?), tanto vale preparare un po’ il campo di gioco.
    Non mi piace vedere mia figlia presa in giro, non mi piacciono tante parole sbagliate, gli sguardi di compassione mi fanno venire voglia di spaccare tutto e non ho altro modo di cambiarli se non spiegare, spiegarla. Che è diverso da giustificare.

Adesso si fa dura, iniziano le elementari. Con una Bruna che ha accanto a sé i suoi pari che come lei crescono, capiscono, ma sono lanciati su traiettorie che non sono le sue, è difficile prevedere come andrà: io proverò ad arrabbiarmi di meno e a metterci sempre un po’ di fiducia in più.

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parole definizione disabilita
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Parole dinamite

Mio padre è stato cieco a lungo. Non ci vedeva nulla. Quando lo è diventato, la vita è cambiata molto per tutti noi: per lui che doveva abituarsi a fare tutto senza vedere mentre noi attorno dovevamo capire soprattutto come non intralciarlo. Abbiamo imparato tante cose che prima, quando stavamo tutti bene, erano banali, irrilevanti: una porta socchiusa è particolare trascurabile, ma con un cieco che gira per casa le porte devono essere aperte o chiuse perché la via di mezzo significa pericolo di porta in faccia, proprio di taglio, cosa che fa davvero male.

È un dettaglio che mi è tornato in mente quando ho sentito del licenziamento della responsabile del casting del film di Francesca Archibugi per la Rai, rea di aver pubblicato su Facebook un elenco di persone ricercate per una serie tv, compreso un disabile o nano che ispirasse tenerezza. Mi dispiace che ci abbia rimesso lei che immagino non si sia fermata nemmeno un secondo a pensare all’ambivalenza della parola “tenerezza”.

Come una porta socchiusa, per un neurotipico la parola tenerezza non evoca nulla oltre al suo significato immediato: sei tenero, hai uno sguardo dolce, viene voglia di abbracciarti e di volerti bene. Invece, in questo mondo dove sta anche mia figlia la parola tenerezza fa rizzare i peli sul collo, è una presenza ingombrante che prende il posto di tutta una persona e la rimpiazza con una retorica della disabilità che, abbiate pazienza, ci esce dalle orecchie.

Non vi state sbagliando, voi che pensate e già, ma questo cercavano e questo hanno scritto, come potevano fare altrimenti? In effetti per ora non vedo grandi margini di intersezione tra due mondi che non si toccano, dove alcune parole continueranno ad avere effetti molto diversi.

Forse l’unica cosa sensata da fare sarebbe risalire la corrente, tralasciare la responsabile del casting e andare su su fino a capire che storia dovrebbe raccontare questa fiction, perché di questa diatriba stiamo parlando in quattro gatti ma quelli che vedranno la tv e faranno l’associazione disabile-tenerone e famiglie con disabili-poverini potrebbero essere tanti, tanti di più.

Conforta (?) sapere che non siamo soli, perché in Gran Bretagna si parla dell’uscita del film “Me before you”, storia di disabilità, amore ed eutanasia, e in relazione a questo:

  • della scelta di un non-disabile per interpretare la vita con la quadriplegia
  • della scelta della regista di non lasciare spazio ai momenti più duri della vita di una persona con enormi difficoltà fisiche “per non turbare troppo il pubblico”
  • della scelta del pezzo del Guardian di definire il protagonista “confinato su una sedia a rotelle” quando è chiaro che per chi ci vive – come dice un lettore – la sedia a rotelle è uno strumento che dà autonomia, non una prigione. Di nuovo, parole ed espressioni che esplodono e fanno danni.

Non ho grandi proposte se non quella di cercare, da entrambe le parti e in qualche modo, un terreno comune meno scivoloso possibile. Per il momento, non posso che citare la conclusione del pezzo del Guardian anche in relazione alla sventura della responsabile del casting della fiction Rai:

“It’s hard to disagree with the reader’s conclusion that, in future, editors should take a long look at pieces they commission which involve disabled people and ask themselves whether they are unwittingly propping up outdated and harmful stereotypes.”

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momenti difficili autismo
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Che ora nera

Non scrivo da più di un mese perché non è stato un buon mese e in genere, quando non è un buon periodo, non ho voglia di condividere quel che succede: le fasi no mi sembrano cose da non raccontare. Però esistono, è bene farsene una ragione.

Avere una figlia molto quieta e tranquilla porta a sopravvalutare la sua capacità di sopportazione: avere una figlia quieta, tranquilla e autistica porta anche il più esperto dei genitori – o solo me, che sono spesso una superficialona – a credere che qualsiasi novità nella sua vita sarà più o meno accettata come un dato di fatto e presto digerita.

Invece questo cambio di logopedia e neuropsicomotricità avvenuto per coincidenza nello stesso periodo ha dato i suoi frutti guasti: abbiamo tolto alla Bruna due figure di riferimento importanti e lei per farcelo capire ha cominciato a rifiutare di entrare in stanza da sola e dato il via a uno di quei periodi in cui parlare diventa affare molto complicato. E tanto per ribadire che un’opinione ce l’ha anche lei, anche a scuola si sono accorti di una tendenza a rispondere più no che sì a qualsiasi proposta.

Per fortuna abbiamo a che fare con persone che non si fanno sfuggire nulla e sanno aspettare senza mollare la presa. In più siamo i benvenuti in stanza durante le terapie, momento che per me è sempre una corsa a ostacoli.

Tutto benino o malino, insomma, con la certezza che la Bruna elaborerà anche questo. E lezione imparata per quel che riguarda noi.

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