La mia blogger preferita in assoluto dice che quando ha ricevuto la diagnosi di sua figlia lo shock è stato tale che ha avuto bisogno di appoggiarsi al muro per non cadere. Io, quando ci hanno dato la diagnosi, ho sorriso e chiesto: “è recuperabile?”. Ho pianto per la prima volta quindici giorni dopo.
Cerco sempre di mantenere il controllo e trovo sempre qualcosa da dire. Non è il massimo perché a volte parlare per parlare significa dire cazzate di grosse dimensioni: ne sa qualcosa la mia migliore amica che ha assistito a un mio esame universitario a dir poco imbarazzante. Per fortuna è vero che i figli ci insegnano tante cose su noi stessi e per ora la Bruna mi sta insegnando che essere solo ok è accettabile e dire non lo so anche.
Pessimista non lo sono mai stata ma incontentabile sì, oltre che chiacchierona, rigida e pesantona di natura, ed è per questo che fino a poco tempo fa non mi sarebbe mai venuto in mente di elencare le cose belle fatte dalla Bruna e basta: avrei detto ok, ci sono delle cose belle ma per ogni cosa bella ce ne sono almeno cinque che non vanno. Mi sarei sentita obbligata a parlare solo di quelle cose. Invece adesso ho addomesticato l’ansia, ammaestrato l’impazienza e penso che poco alla volta tanti di quegli ostacoli li supereremo o, mal che vada, li lavoreremo ai fianchi: riconosco il valore delle cose belle per quello che sono, senza sentirmi moralmente obbligata ad appiccicarci anche qualcosa di negativo.
C’è anche dell’altro: questo è un blog che parla di mia figlia e non di autismo in generale perché “autismo in generale” è un’idea troppo astratta, forse inesistente: come dice il mio amico di Facebook, forse usare la parola autismi avrebbe più senso per riuscire a raccontare meglio questa realtà così complessa. E siccome in questa realtà così complessa esistono famiglie e persone che vivono situazioni molto difficili a volte mi sembra indelicato condividere successi e traguardi raggiunti. D’altro canto, però, è anche un modo di raccontare che esistono bambini che rimangono autistici ma funzionano a livelli diversi e quindi, di nuovo, che la parola autismi ha senso.
Cerco, scegliendo di raccontare o di non raccontare, di restare in equilibrio tra il rischio di mostrare che sia tutto facile e che in fondo l’autismo della Bruna sia avvolto nello zucchero filato e il rischio di cadere nell’autocommiserazione o nel racconto di una vita fatta solo di giorni cupi tutti uguali. Non è mai vero in entrambi i casi.
Alla fine comunque smetto di pensare al mio sguardo su di lei e penso a lei e al gran lavoro che fa tutti i giorni cercando di produrre una parola in più, un concetto nuovo, cercando di capire il mondo che la circonda e penso che ogni tanto le devo un post in cui dico quanto è brava, caparbia, smarrita ma tenace.
Solo cose belle, dicevo all’inizio. Eccole qui.
– Meno paura: vincere l’impulso di coprirsi le orecchie e fuggire urlando. Non sempre ma spesso. Al punto di coprirsi per scherzo le orecchie facendo finta di essere spaventata e di saper dire “qui c’è troppo rumore, voglio andare via” o di accettare di starci vicina per provare a farcela (e riuscendoci spesso).
– Parlare. Giocare con le parole. Costruire piccoli dialoghi di senso compiuto. Più lei capisce quel che il mondo le chiede con le parole, più ci entra dentro e lo vive.
– Lasciarsi pulire le orecchie. In cinque anni non ci siamo mai riusciti (ci pensavano le gocce e anche quello era un lavoro per Superman), oggi ci spruzziamo dentro l’acqua dall’aggeggio apposito e riusciamo – appena appena ma passiamolo come successo – a usare i cotton fiocc. Per il 2015 puntiamo al taglio dei capelli.
– Essere curiosa: chiedere chi è, come si chiama, dove abita, cosa stanno facendo, perché fanno così, cosa sta succedendo. Un anno fa erano più le volte in cui non sembrava affatto interessata alle persone e alle cose che le giravano intorno, noi compresi.
– Capire ed eseguire richieste complesse: di nuovo, un anno fa una richiesta come “fai questo e poi fai quello” non avrebbe dato risultati certi e la Bruna si sarebbe fermata subito dopo la prima richiesta. Oggi i livelli di complessità sono cresciuti e mostrano che lei capisce ed elabora velocemente quello che le si chiede o le si dice.
Una volta di più, questi risultati non sono arrivati da soli per cui tra le cose belle bisogna proprio aggiungere le persone che lavorano e tifano per lei: maestre, terapiste, supervisor ABA e psicologhe di riferimento. Insieme a loro speriamo di fare ancora un bel po’ di cammino.