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Vengo anch’io

Chi mi ha raccontato la favola del “Crescono insieme” ha certo saltato il paio di pagine che raccontano della fase che precede quella del giocare, parlare, fare un sacco di cose belle insieme, ovvero quella in cui la sorella minore segue la maggiore come un cagnolino fedele e non desidera altro gioco, altro libro, altro bicchiere d’acqua, altro cibo se non quello che la sorellona ha in mano. Sorellona che, dal canto suo, riscopre ogni giorno un interesse smodato per i giochi e i librini supercartonati del suo recente passato che la piccola di casa invece vorrebbe usare in santa pace.

La Bruna approfitta di un momento di distrazione della Bionda per scrivere sul suo lato della lavagna

La Bruna approfitta di un momento di distrazione della Bionda per scrivere sul suo lato della lavagna

E’ una fase delicata per i nervi fragili di mamma e papà, perché si urla tutti spesso e volentieri: la Bionda urla e piange perché la Bruna scappa via da lei, la Bruna urla e piange perché la Bionda – più piccola ma non più debole – le strappa qualsiasi cosa dalle mani, la mamma urla – e piangerebbe, ma tenta di darsi un tono – per separare e richiamare all’ordine le due bestie, papà interviene urlando e chiosa ricordando alla mamma che ultimamente è un po’ nervosa.

Soluzioni non ce ne sono, a nulla vale offrire una grande varietà di giochi e nemmeno dei doppioni, perché uno sarà sempre più interessante dell’altro. Tuttavia, all’orizzonte appare qualche debole schiarita: succede quando la Bruna prende per mano la Bionda per fare girogirotondo, quando la trascina di corsa per la casa, quando l’abbraccia dicendo èpitttola (sulla pronuncia della c c’è ancora qualche esitazione), o quando corre a portarle il ciuccio – per zittirla, ma va bene lo stesso.

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Grandi tappe, La Bionda

Maya, non ora, ho appena smesso di allattare

Un po’ di cose che farò a Natale e poi più in là ora che la Bionda, 17 mesi domani, pare essersi messa in testa che con la tetta basta così:

– Smettere di bere caffè decaffeinato
– Bere vino, più di un bicchiere a pasto
– Bere un superalcolico, più di quel che serve a bagnarsi le labbra
– Prendere un’aspirina quando ho il raffreddore
– Non sentirmi in colpa quando mi buco con l’Imigran per farmi passare un attacco di cefalea a grappolo
– Stare a dieta drastica per perdere i chili di troppo senza pensare “e se poi mi va via il latte?”
– Comprare reggiseni bellissimi di taglia terza anziché sesta
– Riporre il cuscino Boppy che ha allattato con me prima la Bruna e poi la Bionda
– Scrivere un post ragionato sul perché allattare è bello ma anche difficile e sul fatto che se non si ha voglia di farlo va bene lo stesso, perché per una tetta non ci si deve rimettere la salute mentale.

Se vi viene in mente altro contribuite pure.

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Vita quotidiana

La mia palla di Natale non sta(va) sull’albero ma aggrappata al mio ovaio

Io e palla di Natale conviviamo da anni, circa cinque o sei pare, ma ci siamo sempre ignorate. Lei, però, un anno fa ha deciso di crescere e di rompere i maroni fino a farsi sfrattare. Palla di Natale si chiama teratoma e stava appesa al mio ovaio destro, e quando s’è fatta troppo grossa – dieci centimetri – ha cominciato a torcermi l’ovaio mandandomi all’inferno dal dolore, sempre di più, fino a quando martedì scorso sono arrivata al pronto soccorso biascicando “perfavorestomoltomale” e collassando in barella, fine delle trasmissioni.

Da martedì a venerdì – giorno dell’operazione – io e palla di Natale, ricoverate in ospedale, abbiamo passato tanti bei momenti che qua riassumo brevemente:

Ginecologo 1: “Signora, mi sembra grave, la mando a fare l’ecografia”.
Ecografista: “Signora, questa roba è enorme e le ha torto l’ovaio al punto che non c’è più vascolarizzazione, sarà necrotico, lei resta in ospedale”.
Ginecologo 2: “Signora, allora, la situazione non mi sembra grave, magari domani la dimettiamo”.
Ginecologo 3: “Signora, la situazione mi sembra urgente, c’è posto venerdì, la operiamo”.
Ginecologo 4: “Signora, firmi qui, è il consenso a toglierle l’ovaio e la tuba. L’altro lo togliamo o vuole che lo salviamo?”.
Ginecologo 5: “Ma no, signora, la operiamo e tentiamo di salvare l’ovaio, la situazione non mi pare così complicata”.
Ginecologo 6 (in sala operatoria, 30 secondi prima dell’oblio): “Allora, signora, entro e vedo e faccio il possibile per tenerle l’ovaio, però non garantisco”.

Insomma, alla fine palla di Natale è andata, così come tutte le coliche renali di un anno intero che coliche renali non erano. L’ovaio destro è ancora con me. In ospedale ci hanno trattati bene, e le comiche riportate più sopra sembrano surreali ma entrano a pieno titolo nel percorso di individuazione della migliore maniera di procedere. Solo che hanno creato un bel po’ di confusione.

Quindi tutto bene quel che finisce bene, pare (attendo l’istologico quindi resto sul vago). Buon natale a tutti.

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