Qualche tempo fa ho conosciuto Silvia di Genitoricrescono: chiacchierando con lei viene fuori che sul loro sito c’è un post sempre molto letto che parla di una diagnosi sbagliata di autismo. Non conosco le ragioni di questa affluenza – le intuisco – ma ho una certezza granitica su quanto avrebbe fatto presa su di me al tempo in cui vagavo su Google in cerca di risposte su mia figlia. Se non ho trovato quel post è perché al tempo avevo l’aggravante di non sapere nulla di autismo, altrimenti forse l’avrei incrociato.
Sono stata vittima del confirmation bias (oppure di qualche suo parente stretto): la tendenza a “cercare, interpretare, prediligere e recuperare informazioni in modo che confermino le proprie convinzioni o ipotesi, allo stesso tempo prestando meno attenzione all’informazione che le contraddice”, come dice Wikipedia.
Ero proprio io. Alla ricerca di un segnale, di più segnali che mi confermassero che mia figlia fosse solo un po’ in ritardo, più indietro, speciale, originale, tutta fatta a modo suo – un tipo, insomma – cadevo di continuo nella ricerca di rassicurazioni.
Esempi? Ne bastano quattro:
- Cerco su Google “bambina cammina a 18 mesi”: ah, perfetto, guarda quante bambine hanno iniziato a camminare tardi, saran mica tutti prodigi in grado di stare eretti a nove mesi. Esistono i bambini pigri e mia figlia è una di loro!
- Cerco su Google “bambina di due anni e mezzo non parla” e guarda qui quanti bambini si sono addormentati di sera sapendo due parole e la mattina dopo zac, grandi oratori. Succederà anche alla Bruna una notte di queste.
- Cerco su Google “bambina che non gioca con gli altri bambini” et voilà quanti bambini sono chiusi, introversi, preferiscono stare sulle loro. Si vede che mia figlia non va d’accordo con nessuno o magari si annoia, chi lo sa.
- Cerco su Google “bambina che ha paura di tutto” e certo, i bambini non sono tutti spavaldi, alcuni hanno paura delle cose più strane. Proprio come mia figlia e questa sua fissa delle candeline di compleanno.
Il problema era tutto mio: evitavo di fare la somma di tutti gli indizi, questi e altri. E se anche la somma non fa una diagnosi fai-da-te, forse può almeno suggerire di andarne a parlare con qualcuno. Gli elementi singoli e le singole rassicurazioni autoprodotte cercando online portano fuori strada e non fanno che confermare quello che hai bisogno di dirti e di sentirti dire, cioè che tuo figlio è come tutti gli altri.
I risultati di questo vagare leniscono per un po’ il magone e intanto fanno perdere tempo, fanno esitare, ti lasciano senza parole quando devi contenere in pubblico un sovraccarico sensoriale e gli sguardi degli altri stanno dicendo “accidenti quanto è viziatella questa bambina”. Peggio ancora: strana. E tu lì, senza pensieri e parole per dare ragione di questa differenza. Se ci penso oggi non riesco a quantificare il sollievo di non vivere più dentro quella bolla.