A due anni dalla sua prima volta, domani la Bruna avrà la revisione dell’invalidità. Significa che sono un po’ preoccupata perché conosco le commissioni e conosco mia figlia e temo che la sua valutazione si basi su cinque minuti di piccolo interrogatorio, non sulla lettura dei documenti che raccontano davvero la Bruna così com’è ventiquattro ore su ventiquattro, quali i suoi bisogni, quali le sue autonomie, quali debolezze fanno sì che abbia bisogno di essere tutelata da una legge fatta apposta.
Non vivo la sua disabilità certificata come un marchio: la vedo e la vivo come una coperta che ci protegge, una coperta fatta non tanto bene, un po’ sfilacciata, un po’ bucata, parecchio corta ma comunque una cosa che, per il poco che è, sta lì a garantire che ci sia almeno l’intenzione di dare il meglio a una bambina autistica, prendendola per mano e accompagnandola verso un futuro in cui lei possa esprimere tutto il suo potenziale, quello che un po’ lo vedi e un po’ non sai che cosa sarà.
Stamattina, mentre lei dormiva accanto a me il suo sonno sempre lungo e tranquillo, leggevo questo post sul perché gli adulti autistici non assomigliano ai bambini autistici: è un bel post, scritto da Judy Endow (autistica anche lei), che dice alcune cose semplici e importanti sulla capacità di colmare o recuperare il gap rispetto ai pari età. Ovviamente non per tutti è così – la Bruna non è un alto funzionamento – ma il valore del post rimane nella sua capacità di incoraggiare a tenere alto lo sguardo verso il futuro, sempre sottolineando la necessità di essere pazienti e perseveranti e la necessità di lavorare sodo.
Questi post mi aiutano a fare il punto e a prendere fiato, presa come sono dalla mia quotidianità di contabile, tassista e terapista e quella in cui faccio anche quello che mi piace di più: il mio lavoro, scrivere, e prendermi cura di due bambine. Il tutto non dimenticando che ho un marito e non facendomi dimenticare come compagna.
La mia eterna debolezza sta nello sguardo che ho sulla Bruna che, sempre preoccupato, tende a dare peso a quel che manca e poco a quello che c’è già ed è arrivato. Ma se mi guardo indietro le vedo, queste briciole brillanti che sono i traguardi raggiunti: brillando mi dicono che nella sua testa scattano meccanismi, pensieri, elaborazioni, scosse elettriche che rianimano aree prima assopite che ora le permettono di superare paure, esprimere concetti più complessi, mostrarmi la voglia di imparare, di coltivare delle relazioni, quello che tre anni fa, davanti al medico del Centro Autismo, sembrava più una ipotesi vaga e un modo di consolarci che una possibilità reale.