La seconda elementare sta andando bene. Niente resoconti dettagliati, faccio solo il punto sulle cose che funzionano e spiegano cosa intendo quando dico “bene”.
Le cose che vanno bene sono semplici:
La conferma della insegnante di sostegno e un numero adeguato di ore di sostegno (22). Non è detto che a una maestra brava non possa seguire una maestra anche più brava ma, nel dubbio, sposo la continuità.
La maestra della Bruna è capace: le vuole bene ma non le fa le carezze, la fa lavorare spingendo sempre il traguardo un po’ più in là dove ha capito che mia figlia può arrivare o arriverà, solo con i suoi tempi e spesso modi diversi di apprendere visto che la neurologia è diversa.Mi ha colpito in particolare una sua frase riferita ai compiti e agli obiettivi che fissa per la Bruna: “Parto sempre dal massimo, per semplificare c’è sempre tempo”.
È l’atteggiamento mentale corretto, non perché la semplificazione non vada bene ma perché ogni bambino va messo in grado di esprimere il potenziale che ha e non è livellando tutti e tutto verso il basso che lo si capisce: lo sottolineo soprattutto in riferimento a un video che mi hanno raccontato nel quale un preside dice che spesso bisogna togliere ai genitori di disabili questa idea che i loro figli possano fare tutto e che quindi la scuola serva anche a riportare alla realtà le famiglie.
Continuità è una bella parola: significa non dover ricominciare tutto da capo ogni anno e vale anche per le maestre curriculari, sollevate dal compito di costruire un rapporto nuovo ogni settembre, per i bambini di tutta la classe, per gli educatori e i terapisti che stanno fuori dalla scuola ma è bene che ci entrino ogni volta che è possibile farlo.
Conoscere un bambino autistico non è semplice come non lo è conoscere qualsiasi altro bambino: punti di forza e debolezze sui quali si costruisce un lavoro di fino che tenga conto degli aspetti comportamentali e relazionali ma anche (a volte soprattutto) della didattica.
Bisogna fissare obiettivi, trovare gli strumenti giusti per un bambino che è come la mia, che impara diversamente dagli altri e con tempi diversi dagli altri, tarare la quantità e la qualità del lavoro, capire come restare nel gruppo senza ricorrere alla via dell’uscita dalla classe e poi costruire tutti insieme anche un PEI che parli chiaro.
Le maestre o i maestri che vogliono lavorare per includere il più possibile anche chi ce la fa meno degli altri. Nel nostro caso, una parte del lavoro in classe va in quella direzione: fare in modo che la Bruna ascolti e segua le indicazioni delle maestre senza fare sponda sempre sul sostegno, un passo verso un po’ di autonomia in più che rafforza anche all’autostima. Stimo molto le maestre della Bruna e anche io vorrei parlare di più direttamente con loro, ma il tempo è quel che è.
La presenza di un punto di riferimento come la nostra supervisora ABA con le sue indicazioni rispettate e messe in atto, ma in generale la possibilità che chi è competente aiuti la scuola (non deve per forza corrispondere a una figura privata e pagata dalla famiglia): nessun esterno entra in classe – fisicamente o meno – per giudicare chi educa e vive ogni giorno con i bambini ma per dare strumenti e indicazioni utili.
L’educatrice che conosce la Bruna e la sa prendere senza dubbio meglio di me, per esempio. Ci vorrebbero più per darle più spazio di manovra e, in generale, una maggiore considerazione per la preparazione di una figura che dovrebbe sempre essere specializzata e formata.
Tutto il gruppo di lavoro esterno: logopedista, i terapisti e psicologi del centro autismo, la psicologa che ci coordina tutti. Più tutte queste figure si parlano e scambiano valutazioni e strategie, più ci sono le basi per vedere dei miglioramenti su tutti i fronti.
Dico sempre che siamo fortunati e che la parola fortuna non dovrebbe esistere in un contesto come questo, dove ci sono delle difficoltà ma in genere tutto funziona bene giorno dopo giorno. Io non sono a scuola ma mi fido di quel che succede a scuola e so bene che è un sentimento di lusso che tanti genitori non provano e non per partito preso.
Poi c’è la matematica
Ogni materia ha le sue spine, qualcosa viene meglio, qualcosa fa sudare di più e senza dubbio la matematica è una di queste ultime. Sarà che per un pensiero concreto il livello di astrazione della matematica è subito un ostacolo e quindi ci vogliono alcuni passi in più per arrivare là dove un altro bambino arriva prima: oggetti da toccare, da dividere, da mettere insieme, concetti semplici come “aggiungere” o “togliere” che vanno interiorizzati prima di passare a “più” e “meno” e via dicendo.
Tutta una scusa per arrivare al momento in cui la mia amica C. mi ha parlato di Daniela Lucangeli, che in tre minuti dice tutto meglio di quanto potrei mai fare io:
Chiudo qui con la frase finale del video, perfetta per descrivere l’insegnante e la scuola che vorremmo, dovremmo sempre incontrare e riguarda tutti i bambini, non solo quelli come la mia:
“Non vorrei mai che la scuola fosse talmente concentrata sugli aspetti di procedura e di algoritmo formale da non accorgersi che sta perdendo di vista l’intelligenza che sta sotto”.