autismo e spettro autistico
La Bruna

Le cose con il loro nome

Ho pensato molte volte se correggere il post che diceva “abbiamo scoperto di avere una figlia autistica ma non troppo, anzi forse non dovremmo nemmeno chiamarla così”, che mi imbarazza e mi infastidisce perché mi svela per l’incompetente totale che ero. Sulla prima diagnosi scritta della Bruna compariva ogni tanto la parola autismo ma purtroppo per molto tempo nessuno l’ha pronunciata ad alta voce. Ci avevano lasciati così come si vede in quel post, cioè ignoranti, inconsapevoli, vanamente speranzosi che la Bruna, bambina strana e silenziosa, fosse diversa dagli altri ma non poi così diversa.

Quante cose sbagliate proprio nel momento meno adatto, quello della scoperta. Alla Bruna avevano messo il cappello di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Psicologico non altrimenti specificato, come dire: aspettiamo di vederla crescere, vediamo se questa cosa si trasforma davvero in autismo o magari, chi può saperlo, diventa altro, addirittura niente; ma lei non aveva 18 mesi, viaggiava per i quattro anni, non poteva far venire dubbi a nessuno specialista e infatti la volta dopo la diagnosi si è trasformata in autismo infantile.

La prudenza in questo caso era un limite, un atteggiamento che innescava in me e suo padre una serie di pensieri dalle conseguenze molto reali. Per esempio:

  • se mia figlia non è poi così autistica posso accontentarmi di un’ora di logopedia e una di psicomotricità a settimana e queste faranno il loro lavoro. Le ASL in genere hanno solo quello da offrire e quello propongono, più o meno: noi dell’ASL TO3 non abbiamo la psicomotricità come intervento convenzionato e dopo gli 8 anni la logopedia diventa un ciclo all’anno, che corrisponde a dieci incontri di un’ora la settimana, meno delle briciole per chi ha un ritardo del linguaggio importante. Sono d’accordo sulla scelta di dedicare più interventi ai bambini più piccoli che hanno davanti a loro ampi margini di miglioramento, ma non è questo il punto: il punto è che noi avremmo messo a frutto anche il primo anno dalla diagnosi se qualcuno ci avesse detto “vostra figlia è autistica”, se ci avesse allarmati un po’ di più e non rassicurati un po’ di più
  • se mia figlia non è poi così autistica mi tengo l’indennità di frequenza e non chiedo l’accompagnamento
  • se mia figlia non è poi così autistica, all’asilo mi accontento di una manciata di ore di sostegno, tanto poi la bimba cresce e migliora e in fondo il sostegno pieno è per chi è *davvero* disabile. Poi un giorno la bambina autistica deve entrare in prima elementare, la vita si fa dura nel giro di 24 ore, di colpo capisci tutta l’importanza di avere un altro insegnante di classe che non sia presente solo a macchia di leopardo.

Non aiuta che il primo impatto con il mondo dell’autismo, per esempio su Facebook, ti metta davanti alla profondità dello spettro e poi ti confonda con alti e bassi funzionamenti, grave o lieve: all’epoca della diagnosi della Bruna ci dissero che esprimeva un “discreto funzionamento” ma “discreto” è un valore comprensibile e che ha senso solo se spiegato rispetto a valori più alti e più bassi e troppo spesso, quando ricevi una diagnosi, non ti viene dato abbastanza contesto per aiutarti a capirla.

Per quel che mi riguarda ne ho abbastanza di diagnosi fantasiose, di disturbi dello sviluppo, ritardi evolutivi e altro ancora: più di qualcuno non sarà d’accordo, immagino, ma le parole autismo e autismi credo possano andare bene e siano più che sufficienti. Dio solo sa quanto tempo ho perso prima di capire che l’etichetta è meglio leggerla bene prima possibile, usarla quando serve, poi digerirla e passare oltre. Forse il tempo che dedichiamo ad arrovellarci e ad accapigliarci sarebbe speso meglio impegnandoci tutti a spiegare che non esiste un autistico identico all’altro, che anche chi sta dalla parte “più fortunata” dell’autismo può avere una vita molto difficile e merita la stessa considerazione degli altri, come dice molto bene anche questo post sul sito pernoiautistici già nel primo paragrafo, invitandoci tutti a diventare anche solo un’unghia più consapevoli dei problemi di tutti gli altri.

Quando le parole si fanno concrete come nel caso dell’autismo, fanno molto male subito e del gran bene in prospettiva e comunque, in fondo, basterebbe che ogni singola diagnosi venisse sempre comunicata ai genitori con abbondante contorno: che cos’è lo spettro autistico, come si manifesta, come ci si lavora, quanto ha senso lavorare per obiettivi a lunghissimo termine, cosa misurano i test che ogni bambino deve fare, che cos’è la disabilità intellettiva, quanto sia necessario lavorare giorno per giorno, dentro e fuori dagli ambulatori.

Sarebbe anche utilissimo un esperto di riferimento (alcuni CAF lo fanno molto bene, per esempio), pronto a spiegare cosa succede con le ASL, con l’INPS, con la scuola, il minimo indispensabile delle informazioni pratiche per guidare nella direzione giusta i genitori frastornati dalla diagnosi. Io sono una persona ben organizzata e che si spaventa poco davanti alla burocrazia, ma devo ammettere che all’inizio ho pensato più volte che non sarei mai riuscita a capirci qualcosa.

Mentre tutti aspettiamo di conoscere e sentirci spiegare meglio l’autismo, con calma e buona scelta di parole, c’è una cosa utile da vedere e leggere in inglese: è la spiegazione di spettro autistico data dall’illustratrice inglese Rebecca Burgess, quella che avrei voluto leggere io per capire meglio la Bruna da subito.

Qui c’è il video, ma ci sono anche il post di The Mighty e il pdf da scaricare da DropBox.

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20 thoughts on “Le cose con il loro nome

  1. francesca m says:

    Anche noi abbiamo ricevuto la diagnosi di “disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato” all’età di 4 anni.
    E anche nostro figlio “è autistico, ma non troppo”.

    Io penso che tu abbia ragione a dire che bisogna usare le parole corrette, il problema risiede nel fatto che la diagnosi viene fatta sull’analisi dei comportamenti e anche che non esiste una vera differenza tra autismo e non autismo, nel senso che non ci sono due condizioni nettamente saparate, ma lo spettro è un continuum e ad un certo punto gli psichiatri hanno arbitrariamente deciso di mettere una soglia per definire chi rientra nello spettro e chi no. Ma essendo un continuum ci sono dei bimbi e delle persone che si trovano su quella soglia, dopo il risultato numerico di test che dipendono anche dalla sensibilità del clinico.

    Per questo è difficile usare le parole corrette e anche perchè secondo me lo spettro comprende persone che sono talmente diverse (con bisogni talmente diversi), che sicuramente in futuro si scoprirà che le cause dei loro problemi sono diverse.

    Personalmente sono convinta che le cause per mio figlio sono di natura genetica, nel senso che purtroppo lui ha ereditato il peggio dei genitori, tanto che molti suoi comportamenti non mi hanno mai allarmato perchè erano del tutto spiegabili guardandoci noi e la sua diagnosi è arrivata tardi solo dopo che ci hanno segnalato difficoltà alla materna.

    Le cose poi sono sempre difficili con i miei genitori che – non volendo vedere le difficoltà – dichiarano che io da piccola ero peggio di lui: zero amici fino alle elementari, timidezza patologica, scarso tatto nelle parole, difficoltà a mettersi in gioco. Ricordo pure che non mi piaceva tanto essere toccata e che non sempre rispondevo.
    Eppure io di mio sono convinta di essere fatta così, di non avere alcuna disabilità – e infatti ho fatto la mia vita come gli altri – andando molto bene a scuola e avendo poche amicizie scelte. E comunque devo dire che sono felice così e l’ultima cosa che avrei voluto nella vita era un maggior aiuto. Però la mia famiglia ha sempre rispettato le mie scelte e se preferivo leggere un libro invece che uscire andava bene così.
    Ti dico solo che mia suocera ha portato mio marito da piccolo dall’otorino perchè era convinta che non ci sentisse bene, visto che non rispondeva quando lo chiamava! Anche lui è andato molto bene a scuola e ha avuto il suo gruppo ristretto di amici.
    Delle volte mi chiedo se oggi saremmo finiti tutti e due dall’NPI. E cerco di convincermi di NO; perchè in caso di risposta affermativa, comincerei ad avere molti dubbi su cosa è meglio fare per la crescita di mio figlio.

    Anche se i test non lo dicono, io mi sono fatta la mia personale idea all’interno chiaramente dell’alto funzionamento senza compromissione del linguaggio e con un Qi medio-alto. Penso che la discriminante vera tra disabilità e no sia la teoria della mente. Io comunque non ho mai avuto difficoltà a comprendere cosa dicevano gli altri, a capire gli stati d’animo e le emozioni, so come funzionano le relazioni sociali.
    Però le diagnosi oggi non si fanno su quello e per me questo è sbagliato.

    Per me non funziona un termine come “autismo”, laddove quando lo senti nominare non sei assolutamente in grado di immaginare la persona che avrai davanti; o peggio te la immagini in base a preconcetti che ti sei fatto avendo a che fare con altre persone autistiche prima.

    A fronte della situazione attuale, secondo me quello che conta è capire veramente bene quale tipo di aiuto serve ad un bambino e comunque non darne nè di più, nè di meno, non abbassare le aspettative e puntare sui punti di forza.

    A noi l’NPI privato ci aveva detto che la cosa principale nel caso di nostro figlio era di essere consapevoli di come era fatto e di farlo lavorare in piccolo gruppo e assolutamente no con un rapporto 1:1; logicamente non siamo riusci a farlo all’interno delle terapie, perchè le terapiste ritengono che bisogna trovare dei bimbi al suo livello (considernado le difficoltà e i punti di forza) e non ci sono riuscite! Perciò abbiamo trovato attività sportive e non, con pochi bimbi e lo abbiamo dovuto mandare “allo sbaraglio” (nel senso senza comunicare il suo autismo). Di sicuro sono servite, ma non quanto un laboratorio fatto apposta da persone formate che lavorano con lo scopo di migliorare le prestazioni sociali.
    L’NPI pubblico – probabilmente per risparmiare – ha detto che compensa bene da solo (per la carità ad oggi è vero, ma durante l’adolescenza?) e di monitorare la situazione.

    Ovviamente lui comunque, per il concetto attuale di autismo, è autistico! Anche se nessuno lo vuole dire pure oggi che ha 6 anni e mezzo – e sto parlando dell’ASL – affermando che è una diagnosi troppo “pesante” per il bimbo che è.

    Scusa il papiro, però riferendoti al tuo post precedente, hai toccato il nocciolo delle mie preoccupazioni e paturnie. Sì noi siamo ancora al punto numero 1, quello dell’accettazione del problema, o per lo meno, quello del definire i confini del problema.

    • Daniela Scapoli says:

      Hai messo un sacco di cose insieme e hai fatto un ottimo ragionamento, che però condivido solo in parte: anzi, che capisco solo in parte, dato che non ho esperienza di questo autismo.

      Sui criteri diagnostici nulla da dire, ma già ricevere una spiegazione come quella che hai dato tu sarebbe utile al momento della diagnosi, mi piacerebbe sapere quanti si sono sentiti raccontare l’autismo così (ci vorrebbero dati, dati veri, non solo le esperienze personali):

      Se tuo figlio riesce a gestirsi all’interno di normali attività di gruppo, benissimo, mia figlia invece fa quello che ti hanno consigliato al’interno di un piccolo gruppo adatto a lei: la discriminante è sempre varcare la porta con su scritto “centro autismo”, che per tuo figlio non sarebbe semplice, nel senso che la sua consapevolezza sarebbe un fattore discriminante per questo tipo di aiuti.

      In ogni caso “finire dal NPI” non mi pare nulla di grave, anzi, se il NPI in questione sa come si fa: per alcuni identificarsi all’interno dello spettro autistico è anche un sollievo, dà senso a cose che magari prima era difficile spiegarsi. Mi spiace ma tu la fai sembrare una cosa sgradevole a priori e così non è. Terrei a bada anche chi parla di diagnosi “troppo pesanti” perché tuo figlio indubbiamente non ha certi problemi, ma la sua consapevolezza potrebbe sicuramente creargli un bisogno di confronto e percorso psicologico: gli auguro una vita tranquilla e positiva – ci mancherebbe! – ma anche di sapere, capire e accettare chi è, come lo fa chiunque di noi 😉

      • francesca m says:

        Mio figlio oggi sta lavorando con una neuropsicomotricista (1:1, in assenza di bambini con le caratteristiche giuste purtroppo) e in futuro sarà probabilmente opportuno un percorso psicologico, soprattutto in adolescenza! Ovviamente non lo lascio senza fare nulla, pur cercando di non abbassare le aspettative.
        Però ha tantissimo bisogno di essere preso in considerazione al pari degli altri e questo spesso significa non dire nulla, per non creare pregiudizi. Gli essere umani – proprio per loro costituzione – si fanno delle costruzioni mentali in base ai dati che hanno e cambia persino il loro giudizio sulla realtà.
        Ha bisogno che gli altri credano in lui; il suo modo di comportarsi cambia tantissimo in base alla fiducia che gli danno le persone. “Diverso, ma non da meno” non è un concetto così facile da trasmettere.

        Di “diagnosi troppo pesante” ne parla l’NPI dell’ASL, cioè non uno che non ne sa nulla, ma lo specialista di riferimento del territorio! Che da quello che ho capito non approva il concetto di spettro che c’è oggi. [Poi ci sono moltissime persone – anche leggendo tanti genitori come me e te – che ritengono che l’autismo sia una disabilità gravissima, anche nelle forme lievi, che i figli non saranno mai autonomi, non nel senso di gestirsi la vita, ma nel senso di andare a farsi una passeggiata da soli o stare da soli a casa, che guai a prendere la patente … e stiamo parlano di chi dovrebbe conoscere l’autismo; figuriamoci cosa ne possono pensare gli altri. Ovviamente quando leggo queste cose, non ci dormo la notte e vengo presa dall’ansia. E mi consolo pensando che quando sarà grande ci sarà la guida automatica;-) Però vorrei tanto che lui fosse libero di diventare quello che vuole, senza che qualcuno gli dica a priori tu questo non lo puoi fare.]

        • Daniela Scapoli says:

          Ciao Francesca, scusami ma mi ero persa questo tuo commento. Sono d’accordo che ci vada un percorso psicologico specie tra chi è molto consapevole come tuo figlio.

          Sulla diagnosi troppo pesante continuo a non trovarmi d’accordo, autismo è autismo ed è anche identità, poi le riflessioni su “più grave, meno grave” sono altra cosa: resta il fatto che, come dicevo nel post, una diagnosi in una parola non descrive una persona nella sua complessità, per quello dico che bisogna digerirla e proseguire. Ma ribadisco, per averlo anche molto letto in tante persone adulte, che scoprire di essere autistiche ha dato un senso a molte cose, e quindi ha contributo a identità, autostima ecc.

          Sul futuro, non lo so, ma tu vivi un’esperienza troppo diversa dalla mia: io ho sotto gli occhi mia figlia ogni giorno e spero sempre che mi sorprenda, ma i limiti come le progressioni hanno contorni sempre più definiti e la consapevolezza è il modo migliore per vedere se si possono superare o no, e quali siano i limiti che ci fanno più paura 😉

          • francesca m says:

            So che quello che dici sugli adulti è vero, perchè molte volte l’ho letto pure io, eppure non lo capisco: non capisco come ricevere una diagnosi – che purtroppo rientra ancora tra le malattie mentali – possa aumentare l’autostima. Secondo me l’autostima aumenta se c’è qualcuno che ti spiega come sei fatto e come funzioni, e come puoi fare per superare gli ostacoli e funzionare meglio, ma non avere una diagnosi ed essere considerato disabile. Queste sono due cose molto diverse. Infatti mi piacerebbe tanto avere una palla di cristallo e vedere questi adulti – che comunque sono autonomi anche se hanno dei problemi che li fanno soffrire – come sarebbero diventati se fossero stati diagnosticati da bambini. Perchè, purtroppo per me, non sono così sicura che oggi starebbero meglio di come stanno. [adulti che tra l’altro alla mia domanda se avrebbero trovato utile avere l’insegnante di sostegno a scuola per la maggior parte si sono risentiti, dicendo che loro andavano bene a scuola e quindi perchè il sostegno? la risposta sarebbe per migliorare la socializzazione e la comunicazione con i compagni e gli insegnanti …]

            ovviamente leggere un sito come spazio asperger e confrontarlo con il sito di Nicoletti, fa già capire come il concetto di spettro sia un macello; io ancora cerco di capire come si possa parlare della stessa cosa in due modi così diversi.

            comunque i nostri figli non sono così diversi, apparte essere maschio e femmina ;-), e ti prego non pensare oggi che c’è qualcosa che lei non potrà sicuramente fare, di questo non ne parliamo fino a 20 anni.

          • Daniela Scapoli says:

            Credo che la differenza sia proprio quella che hai detto tu: non sedersi davanti a un medico che ti dice “lei è autistico, arrivederci”, ma sedersi davanti a un professionista che ti dica “ora parliamo di come è fatto e come funziona”, quindi un dialogo, non una sentenza. Credo che faccia tutta la differenza del mondo avere coscienza di essere diversi e poi sapere che questa diversità è spiegabile: non si tratta di rientrare in una categoria, ma eventualmente di senso di appartenenza, non tanto allo spettro autistico ma dentro il mondo delle neurodiversità. Spero di essermi spiegata, non so se il mio pensiero è corretto: solo un autistico che ci è passato potrebbe dirlo, magari Alice che ha commentato qua sotto e che la strada della diagnosi l’ha vissuta da adulta.

            Sul sostegno a scuola per tutti non so, ma un percorso psicoeducativo ben calibrato perché no. Ma tu lo conosci Geninatti? Secondo me è un neuropsichiatra di quelli da conoscere.

            Quanto a mia figlia, mi ha sempre dalla sua parte, ma credimi che anche vedere i limiti non è solo una forma di castrazione delle potenzialità, a volte è anche protezione: ciò detto mi auguro tutti i traguardi che potrà afferrare 🙂

  2. Sono assolutamente d’accordo. A noi, con tutto il tatto possibile, hanno messo davanti la diagnosi di autismo fin dalla prima valutazione, e la diagnosi è arrivata tre mesi dopo, non aveva ancora compiuto 2 anni. Ci hanno detto: la diagnosi non si conferma ufficialmente a questa età, dobbiamo scrivere “disturbo pervasivo dello sviluppo” perché il bambino è piccolo. Ha un potenziale cognitivo molto buono, e questo è un suo punto forte, ma è autistico e quindi il suo grado di sviluppo in generale é basso, e rimarrà tale se non lo tirate fuori voi, da solo non ce la farà. Per cui dateci dentro come se non ci fosse un domani…perché se non lo fate NON CI SARÁ un domani.

    Ci hanno tramortiti da non sapere se saremmo riusciti mai più ad alzarci dal letto, ma c’è da dire che ci hanno fatto passare la fantasia di “stare a vedere come va, anche il figlio del cugino dell’amica non faceva…non parlava…e invece poi…”. Abbiamo avuto fortuna a incontrare la persona giusta.

    • Daniela Scapoli says:

      Incontrare le persone giuste è un toccasana, anche se non dovrebbe mai essere questione di fortuna. È vero che la botta è tanta roba, ma serve appunto a “far passare la fantasia”. In bocca al lupo per il vostro percorso 🙂

  3. Mariangela says:

    Grazie per questo articolo scritto col cuore. Dalla mamma di Giovanni, disturbo autistico ad alta severità, a cui si gira intorno con la diagnosi di disturbo della relazione e della comunicazione ♡

  4. Ciao Daniela. E’ la prima volta che arrivo sul tuo blog (nonostante ti seguissi già su Twitter). Sono stata attirata da questo post perchè essendo Asperger leggo tutto ciò che è relativo all’autismo.

    Avendolo vissuto da figlia e non da madre non so dare consigli, ma so cosa significhi sentirsi abbastanza esterni alla società da soffrirne, ma non abbastanza per essere spinti e aiutati in un percorso (tant’è che ero stata catalogata come timida patologica, e la strada della diagnosi e terapia me la sono affrontata da sola a 25 anni).

    Magari lo conoscerai già, ma ti sei rivolta all’ambulatorio per l’autismo dell’ASL TO 2 di Corso Francia? Io sono stata diagnosticata lì e tutt’ora sono in terapia con una psicologa. E’ un centro per l’autismo negli adulti, ma vi sono psichiatri e psicologi che lavorano anche con bambini.
    Se vuoi altre informazioni io sono disponibile!

    Alice

    • Daniela Scapoli says:

      Ciao Alice! Il tuo punto di vista mi interessa molto proprio perché tu hai una prospettiva così diversa dalla mia, mi farebbe molto piacere se avessi voglia di raccontarmi come hai vissuto la diagnosi a 25 anni, e cosa è stato arrivarci (anche in privato, e se invece sono troppo curiosa basta dirmelo 😉 )

      Noi siamo nell’ASL TO3 e non conosco l’ambulatorio che dici tu, ma devo dire che siamo seguiti piuttosto bene e la Bruna ha un team di lavoro che fino a ora ha sempre lavorato ottimamente: la diagnosi, al tempo, fu fatta da Arduino e Gonella al Centro Autismo di Mondovì. Se comunque sai di qualche iniziativa particolare dedicata ai bambini autistici segnalamela, mi fa piacere 🙂

      • francesca m says:

        Anche a me interessa molto il punto di vista di Alice. A dir la verità più di quello degli altri genitori … anche se bisogna sempre evitare di generalizzare.

        Anche noi siamo dell’ASL TO2, pensa te!

        • francesca m says:

          Ovviamente Alice mi farebbe molto piacere se rispondessi alle “fesserie” che ho scritto sopra visto che parlano degli “autistici diagnosticati da adulti”.

          • francesca m says:

            Grazie, vedrò però mi frega la mia scarsissima conoscenza dell’inglese 🙁

            Rispondo qui perchè sopra non mi da il reply: Geninatti è l’NPI che ha visto mio figlio per primo (prima dell’ASL), forse per questo le cose mi sono state spiegate bene, però sull’intervento non ci ha detto nulla, tranne darci il nominativo della psicomotricista – esperta di casi come il suo – molto brava che lo segue, mentre ci ha proprio detto che l’ABA non faceva al caso suo e che le cose importanti erano: la nostra consapevolezza del suo modo di essere e il lavorare in piccolo gruppo.
            Però adesso sono passati 2 anni, forse dovremmo tornarci.

  5. Eccomi! Perdonate il ritardo. Non so se lo conosciate ma qui a Torino c’è un gruppo di genitori di bambini/ragazzi Asperger; spesso vengono organizzati degli incontri con la presenza di una psicologa e di una persona con la sindrome: in questo modo i genitori possono ricevere il supporto di uno specialista, ma soprattutto l’esperienza diretta di chi la vive nel proprio corpo. Non so esattamente come si partecipi in quanto genitori, ma essendo la mia psicologa organizzatrice, e dovendo io partecipare ad un incontro di giugno, posso informarmi.

    In ogni caso scriviamoci/vediamoci pure: so quanto sia difficile vivere con una forma di autismo (anche lieve), e posso immaginare cosa voglia dire sentirsi inermi davanti alle difficoltà che comporta. Se posso aiutare, a modo mio, lo faccio volentieri (sul mio blog ho scritto qualche post).

    Alice

    • Daniela Scapoli says:

      Grazie Alice 🙂
      Devo dire che mi incuriosisce ma, appunto, penso farei la figura della curiosona e mi dispiacerebbe, visto che mia figlia non è Aspie: però scopro con piacere che ci sono iniziative come queste.

      • francesca m says:

        In realtà adesso, nessun bimbo è più “aspie”, nel senso che secondo le nuove diciture è tutto spettro autistico, livello 1, 2, 3. Immagino che lo spettro autistico, livello 1 sia un po’ corrispondente all’asperger o siano sovrapposti.
        Anche mio figlio non ha una diagnosi di asperger!

        Per Alice: i bambini del gruppo hanno proprio una diagnosi specifica? nessuno mi ha mai parlato di questo gruppo! ma si incontrano i genitori o anche i figli?

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